“Troppa carne al fuoco”: l’allarme è stato lanciato dal “Corriere della Sera” a proposito delle annunciate riforme sul presidenzialismo, l’autonomia regionale, la giustizia. Si rischia l’ingorgo istituzionale e una minore attenzione ai problemi urgenti (secondo La Stampa c’è ritardo nell’intervento sulle accise, con un rialzo dei prezzi della benzina).

Sul presidenzialismo il leader di Azione Carlo Calenda ha precisato che i Centristi sono disponibili all’intesa con la maggioranza per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma non del Capo dello Stato, che deve mantenere la sua funzione costituzionale di garante della Repubblica. Una prospettiva rovesciata rispetto alla linea del Governo, ma senza il Terzo Polo non c’è maggioranza nelle Camere per riforme istituzionali.

Più facile l’intesa sulla Giustizia: la proposta “garantista” del ministro Nordio vede favorevole Matteo Renzi, ma si preannuncia un’opposizione durissima (con l’ostruzionismo) di Pd e M5S, che temono la perdita di ruolo delle Procure, a vantaggio dei fenomeni corruttivi.

In alto mare è invece la proposta sulle autonomie regionali del ministro leghista Calderoli: continua incessante la rivolta del Sud, ove sindaci e governatori vi vedono uno strapotere delle Regioni del Nord a scapito del già debole Mezzogiorno. Le opposizioni, su questo unite, considerano messa a rischio l’unità nazionale col dare poteri diversificati alle Regioni su temi essenziali, dalla scuola alla politica energetica (secondo il Veneto anche la politica estera).

Fratelli d’Italia vuole modifiche, ma la Lega mette sullo stesso piano il sì a presidenzialismo e autonomie, con l’ipotesi che l’intero processo riformatore si fermi. Non va dimenticato che Salvini è contestato sul ruolo del Nord dai “suoi”: Umberto Bossi ha formato un gruppo autonomo, i Governatori Zaia, Fedriga, Fontana sono sul piede di guerra. Nel complesso un quadro politico frastagliato, che per ora non lascia intravvedere una via concreta per un iter parlamentare positivo, nonostante l’impegno riaffermato da Palazzo Chigi.

La Meloni intanto prosegue nei suoi incontri istituzionali: è stata in visita privata da Papa Francesco e ha avuto un nuovo colloquio politico con la presidente della UE, Ursula Von der Leyen. In precedenza aveva visto il Presidente dei Popolari europei, il tedesco Weber. Continua la politica del doppio binario: richiesta alla UE di misure sollecite, a cominciare dai migranti (su cui frenano i Paesi “sovranisti”, buona ultima la Svezia ora governata da un Governo di destra); impegno politico per cambiare la “geografia” di Bruxelles. Con Weber si è prospettato il superamento della maggioranza Ursula a Bruxelles (che racchiude Popolari, Liberali, Socialisti) per giungere nelle elezioni del prossimo anno a un’intesa Popolari-Conservatori. Ovvero un ribaltone.

Il Governo ha certamente il diritto di muoversi sulla politica estera indicata in campagna elettorale, ma non può ignorare che questa attività può entrare in contrasto, a Bruxelles, con gli obiettivi che oggi intende ottenere, tra cui la modifica del Piano di Ripresa e Resilienza e una politica moderata della BCE sui tassi d’interesse e l’acquisto di titoli di Stato (è stato il ministro della Difesa Crosetto a paventare gravi danni per l’Italia dalle scelte europee).

In questo scenario politico monopolizzato dalla politica estera e dalle riforme istituzionali è minore l’attenzione per le elezioni regionali, tra un mese, in Lombardia e Lazio, con 15 milioni di persone coinvolte. A Roma il candidato Pd ha rivolto un disperato appello ai Grillini, per un’intesa in zona Cesarini; ma Conte ha confermato la sua strategia: il nemico da battere è il Pd, nessun accordo. A Milano le novità possono venire dalla Lega: il gruppo scissionista di Bossi è tentato di abbandonare il presidente Fontana per salire sul carro di Letizia Moratti, candidata centrista di Azione-Italia viva, outsider della competizione.

Le regionali faranno probabilmente slittare le primarie del Pd al 26 febbraio; in piena campagna congressuale la candidata verde-radicale, Elly Schlein, ha proposto – come il M5S – le votazioni on-line, suscitando la protesta degli altri candidati, che difendono il voto ai gazebo. Nonostante la sconfitta alle politiche non c’è pace per l’opposizione.