Anni fa girava una canzone, non tra quelle che facevano audience, che diceva: “i bambini son tutti uguali, non ci sono né brutti né belli, non ci sono colori di pelle, sono tutti doni d’amore…”. È venuta in mente ascoltando la radio, e leggendo la rassegna stampa quotidiana, circa il rapporto di Save the Children sull’infanzia a rischio, presentato non più di due giorni fa a Torino.

Siamo in Italia, non nel sud del mondo e non in Paesi tradizionalmente noti perché molto poveri, molto in guerra, molto lontani, molto dimenticati e molto colpevoli della loro malasorte, come molti credono. Il rapporto presenta la gravissima situazione della povertà dei bambini in Italia, e ci sono anche i dati per il nostro “bel Piemunt”.

Ce la faremo a far scendere uno sguardo di compassione, di tenerezza, di solidarietà concreta almeno su chi ci sta vicino, visto che fatichiamo tantissimo a farlo per chi sta lontano? Non ne sono così sicuro, soprattutto se comincia anche qui a diffondersi quella parolina magica, difficile da digerire, facile da tenere lontana quando si tratta di cose e persone dall’altra parte del mondo. Redistribuzione.

Accanto al rapporto di Save the Children si muovono i primi commenti che iniziano ad usare questa parolina, interpretata come causa (quando il suo contrario – l’accaparramento – imperversa) e allo stesso tempo soluzione, all’immensa povertà nostrana.

Osiamo credere che certi dati non vi siano sfuggiti: in Piemonte 1 minore su 5 vive in condizioni di povertà relativa e solo il 12,4% dei bambini accede all’asilo nido. Tragicamente meglio rispetto al quadro nazionale dove negli ultimi dieci anni il numero dei bimbi in povertà assoluta è più che triplicato, passando dai 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018. Lo scrive il rapporto. Oggi sono 1,26 milioni (563mila nel mezzogiorno, 508mila a nord e 192mila al Centro).

Un trend che non cambia nemmeno per quei bambini e adolescenti che sono entrati a far parte della schiera della “povertà relativa”, che nel 2008 erano 1.268.000 e che a dieci anni di distanza sono diventati 2.192.000.

Fortissimi i divari territoriali: se in Emilia Romagna e Liguria poco più di un bambino su 10 vive in famiglie con un livello di spesa molto inferiore rispetto alla media nazionale, questa condizione peggiora in regioni del Mezzogiorno come la Campania (37,5%) e la Calabria (43%). Tutto è peggiorato con la crisi economica tra il 2011 e il 2014, quando la percentuale di minori in condizioni di povertà è passata dal 5 al 10%, trasformando un fenomeno circoscritto in una vera e propria emergenza. Solo nel 2018, ben 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni hanno dovuto beneficiare di pacchi alimentari.

La povertà dei minori si riflette anche sulle difficili condizioni abitative in cui molti di loro sono costretti: in un paese in cui circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 14% dei minori ha patito condizioni di grave disagio abitativo. Una povertà che si manifesta nella mancanza di beni essenziali, lo stretto indispensabile per una vita dignitosa: un’alimentazione e un’abitazione adeguata.

Questo quadro inquietante è molto più ampio di quanto possiamo raccontare qui, ma è facilmente accessibile per chi vuole capire che cosa sta succedendo nelle famiglie della porta accanto. E’ un’analisi dettagliata e impietosa della condizione dei bambini e adolescenti pubblicata nella 10a edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio – “Il tempo dei bambini” a cura di Giulio Cederna –. Non possiamo stare a guardare l’aumento delle disuguaglianze intergenerazionali, geografiche, sociali, economiche, tra bambini del sud, del centro e del nord, tra bambini delle aree centrali e delle periferie, tra italiani e stranieri, tra figli delle scuole bene e delle classi ghetto.

Non possiamo tollerare ed essere complici che il nostro Paese sia vietato ai minori, senza accorgerci che stiamo abbandonando – se non lo abbiamo già fatto – il nostro tesoro più grande, rappresentato proprio dai bambini.