Si può essere più poveri di così? Certo. L’appena pubblicato rapporto della Caritas per il 2022, dal titolo “L’anello debole”, ci mostra che quello che era sembrato un picco di povertà nel 2020 è stato ampiamente superato con la crisi di queste settimane, e mesi, ormai. Povertà ed esclusione sociale si mostrano in tutta la loro potenza e, se per alcuni questo rapporto arriva come un fulmine a ciel sereno, per altri è una fotografia che hanno visto svilupparsi sotto i propri occhi, come una polaroid che prende man mano colore.

L’esclusione sociale è quell’elemento in cui meno hai e meno sai di poter accedere a servizi, a risorse, a reti di aiuto. L’esclusione sociale fa il paio con la bassa scolarizzazione, con l’abbandono scolastico, con l’incapacità di poter presentare una domanda di contributo e stampare un documento, perché ci si confronta con una burocrazia che scoraggia chi già si sente perduto.

Spesso, almeno da parte di chi ha sempre osservato quell’anello debole frammentarsi sempre di più, sono stati richiesti interventi coordinati, multidisciplinari, attenti alla progettualità sulla persona e all’accompagnamento verso una qualità della vita migliore. La presa in carico dei servizi sociali o territoriali, i protocolli di intesa con il terzo settore, dovrebbero essere indirizzati ad un’assistenza prolungata nel tempo, quel tempo utile a formare un cambiamento vero e strutturale all’interno della mente e della condizione esistenziale della persona. Di fronte a quanto rappresentato dal rapporto della Caritas si deve avere il coraggio di fermarsi, fare un’analisi profonda delle criticità e avere il coraggio di cambiare. Un cambiamento che deve partire dalle persone che vivono le condizioni più disperate.

Si dovrebbero analizzare quelle crepe che si sono evidenziate in un percorso e che hanno fatto in modo che i tentativi messi in atto per riscattarsi da una condizione di sofferenza si disperdessero con tanta facilità. A volte si ascoltano storie di uomini e donne in cui gli eventi negativi sembravano accanirsi, che la predestinazione ad una serie di fallimenti fosse invitabile. Eppure, ogni volta che ci si pone in ascolto di queste storie si ha la sensazione che sarebbe bastato poco, forse un minuto in più, una mano tesa, un documento ben fatto per permettere almeno di galleggiare, riprendere fiato, andare verso un secondo obiettivo.

E se quando si analizzano storie e malfunzionamenti, lì si dovrebbe intervenire per modificare quel processo di annegamento, di affossamento, di spallucce o di braccia aperte a dire: “e che ci posso fare…”.

Chi si è convinto di non poter cambiare la propria situazione di vita, se non accompagnato, non è in grado di vedere una possibile trasformazione; per questo ci vuole chi ne assuma una sorta di responsabilità intorno ad esso per evidenziare il cammino fatto, per orientare una gestione economica, sociale, di relazioni e, nel caso si tratti di famiglie, che la presa in carico sia progettuale per ognuno dei componenti di quel nucleo.

Bisognerebbe mettere in pratica quello che teoricamente si conosce e si sostanzia in un approccio olistico. Non serve solo il lavoro, serve rafforzare le conoscenze intorno ad un sistema di servizi e di accesso alle risorse che è cambiato nel tempo, serve l’educazione all’uso delle tecnologie, ma serve anche educazione finanziaria, serve anche un contesto sociale di qualità, la possibilità di incontrarsi e di coinvolgersi in un processo di cambiamento che, oltre alla persona, riguarda l’ambiente di vita. C’è bisogno che ci si metta accanto per guidare e, nel tempo, allontanarsi e supervisionare le variazioni di vita ed essere pronti a correre ai ripari se qualcosa non sta andando nella direzione prevista.

Quest’anno ricorrono i 25 anni dalla morte di don Luigi di Liegro, fondatore della Caritas: ci vorrebbe che la dignità, l’attenzione per l’altro così come lui la rappresentava e chiedeva ai suoi collaboratori di rappresentare, diventasse patrimonio di tutti, diventasse orientamento verso il lavoro e verso l’altro e si potesse sostanziare nella felicità di vedere una vita restituita alla vita.