(Mario Berardi)

La corsa per il Quirinale ruota attorno alla figura di Mario Draghi e divide, verticalmente e trasversalmente, il mondo politico: contrari alla sua elezione al Colle il leader della Lega Salvini, il capo politico del M5S Conte, il fondatore di Forza Italia Berlusconi, una parte significativa del Pd (Franceschini) e di Articolo uno (D’Alema). Le motivazioni sono diverse; anzitutto le condizioni d’emergenza in cui vive il Paese, con la crisi della pandemia, la questione sociale con il caro-vita e la questione energetica, il rischio di guerra in Ucraina. Questo sconsiglia una crisi di governo (o elezioni anticipate); anzi sollecita la massima operatività dell’esecutivo.

C’è poi la preoccupazione di un ulteriore indebolimento del quadro politico, con il commissariamento dei partiti da parte dei super-tecnici, in primis l’ex Presidente della Bce. A favore di Draghi, invece, il segretario del Pd Letta, il ministro grillino Di Maio, il numero due della Lega Giorgetti, uniti nel segnalare la caratura internazionale del premier e nell’auspicare un accordo per un nuovo governo di ampia solidarietà (dai contenuti però ancora indefiniti).

Le scaramucce tra gli schieramenti, con le votazioni in bianco, nascondono questa realtà: il passaggio, nell’arco di un anno, di Mario Draghi da “salvatore della Patria”, chiamato da Sergio Mattarella, a personaggio in discussione. Comunque finiscano le votazioni, si è aperta una ferita nell’unità nazionale richiesta nel febbraio 2021 dal Capo dello Stato.

Altrettanto significativa la conferma delle spaccature nelle coalizioni. A destra la Meloni è disposta a votare Draghi a patto di andare alle elezioni subito. A sinistra Conte si sta smarcando dall’accordo stretto con il Pd, con un nuovo dialogo con la Lega: buona parte dei Grillini sarebbero disponibili ad eleggere la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, o il candidato di Renzi, il centrista Casini, pur di bloccare l’ipotesi Draghi. In concreto si è riaperto il dialogo giallo-verde, come all’inizio della legislatura, con l’obiettivo di ritornare a un sistema elettorale proporzionale, con uno spostamento al centro dell’intero quadro politico.

Resta aperta l’emergenza europea, perché Mario Draghi permane una garanzia per Bruxelles, sia per la gestione dei fondi europei sia per la riforma del patto di stabilità, che i paesi del Nord (con l’appoggio della nuova Germania) vorrebbero bloccare a danno del Sud dell’Europa; inoltre restano gli interrogativi sulla Lega di Salvini, divisa tra il “sovranismo” del leader e la scelta del Ppe da parte del ministro Giorgetti.

In ogni caso la confusione di queste ore conferma la validità della scelta che fu di Mattarella sull’unità nazionale, che sarebbe cancellata dall’ipotesi di una “spallata”, con il rischio di una crisi politica. L’interesse del Paese è per una legislatura che giunga alla sua scadenza, affrontando riforme ineludibili: la Giustizia, nel mirino di Bruxelles, quella delle pensioni, attesa da milioni di cittadini in ansia, perché la “finanziaria” 2022 ha semplicemente rinviato di un anno ogni soluzione; soprattutto i sindacati chiedono una definizione rapida delle nuove norme.

C’è poi un tema etico-sociale rilanciato dalla “Civiltà cattolica”: l’autorevole rivista dei Gesuiti ha sottolineato i rischi del referendum sull’eutanasia promosso dai radicali, con un contenuto eversivo della tradizione giuridica italiana; “Civiltà cattolica” auspica in alternativa una nuova legge sul fine-vita che eviti l’avventura referendaria, gravida di conseguenze sul piano etico, sociale, culturale.

Ci sono poi le Regioni e i Comuni italiani che attendono la prima tranche dei fondi europei, per avviare gli interventi già programmati sul territorio, con un obiettivo “volano” per l’economia locale e nazionale. Tutti elementi che concorrono ad auspicare una stabilità del quadro istituzionale e invitano i partiti a guardare su un orizzonte più largo, evitando “vittorie di Pirro”, effimere e controproducenti. Non conta molto il numero delle sedute a Montecitorio, è essenziale la qualità politica della scelta dei mille elettori: l’inquilino del Quirinale “governerà” per 7 anni e attraverserà 3 legislature.