Caparezza è di nuovo in esplorazione, ma questa volta non solo musicale: dopo quattro anni è uscito “Orbit Orbit”, un doppio progetto che intreccia un album e un fumetto, un invito a viaggiare dentro se stessi e nell’immaginazione.
Sin da piccolo, Caparezza ha accompagnato le mie domande: ogni parola sua è sempre sembrata un ponte tra l’ironia più tagliente e una umanità struggente. Nei suoi pezzi trovo la capacità di trasformare la riflessione in poetica e i suoi concerti, che non ho mai mancato, sono stati per me dei momenti indimenticabili.
Qui il filo conduttore è la libertà. Dopo anni di silenzi e di sfide interiori, tra cui un forte disturbo all’udito, Caparezza ha trasformato il suo vissuto in carburante creativo, dando vita a un racconto che si dipana tra note elettroniche, sintetizzatori e orchestrazioni corali. Nel mio ascolto, due frasi della canzone “Pathosfera” risuonano come moniti e carezze al tempo stesso: “Quando perdi la fiducia nell’umanità / È un attimo che perdi la tua umanità stessa”.
La fiducia non è un optional, è la linfa che nutre l’anima, che ci rende umani. E ancora: “Ho paura che stia diventando automa, cyborg/Ma se ho questa paura sono ancora salvo”. E qui si cela la paura radicale e insieme profondamente attuale: la disumanizzazione delle nostre vite digitali. Ed è una paura che sono certo di condividere con molti giovani, a discapito del mondo che ci pensa anestetizzati al tema. Fidatevi, siamo ancora umani!
E poi c’è la traccia conclusiva, “Perlificat”, che chiude l’album. Caparezza si definisce “ostrica”: il mondo è il suo parassita, eppure lui lo avvolge nell’immaginazione, lo trasforma in una perla. Ciò che sembrava estraneo, doloroso o invadente diventa materia prima della sua creazione. Un invito non solo per lui, ma per noi tutti, a “perlificare”, cioè a creare nella difficoltà.
Musicalmente, “Perlificat” è una composizione magistrale. Caparezza ha chiamato un’orchestra di 74 elementi per dar vita a un pezzo corale che, nei suoi momenti più alti, nella mia personalissima riflessione, mi ha ricordato il Magnificat.
Il richiamo mi risuona dal primo ascolto: anche nella grande musica sacra, penso alla versione del maestro Marco Frisina, quel cantico è espressione di lode e gratuità. Qui Caparezza trasforma quell’eco in un’ode all’atto creativo, rendendo l’arte non solo un mezzo di salvezza, ma una forma di sacralità.
E noi che vediamo il mondo con ottica cristiana, sull’esempio di Maria nel Magnificat, possiamo dire il nostro sì ed essere come ostriche, “perlificando” il mondo, diventando testimoni d’amore.
Ancora una prova che il bello tocca il cuore e lo nobilita. Lasciamoci emozionare!


