(elisa moro) –Gaudeamus omnes in Domino, diem festum celebrantes sub honore Sanctorum – Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando il giorno di festa in onore dei Santi”: con le parole esortative dell’Introito si apre la Solennità di tutti i Santi, della folla senza numero di anime beate che, trionfante, vive accanto all’Agnello vittorioso.

Festa ed esultanza, dunque, di chi ha già raggiunto la “Città del Cielo” cantata dal prefazio della Santa Messa; motivo di gioia e speranza nella fede per “la Chiesa ancora pellegrina sulla terra”, accogliendo le medesime parole che lo stesso Signore ci ha rivelato e la Santa Chiesa propone ai fedeli.

Nel “volto dei Santi” (Didaché IV, 2), che risplendono come testimoni dell’opera della Grazia di Dio, “si contempla Colui la cui contemplazione ha riempito la loro vita(Charles de Foucauld, Opere spirituali); si coglie l’Amore misericordioso e travolgente nelle loro stesse vite, fino a plasmarle e trasformarle.

In essi il cuore si apre speranzoso alla Meta che attende ogni uomo; in essi si scorge la Santa Gerusalemme; in essi si contempla il Volto cercato e sospirato, quello del Cristo, per il quale nella Santa Messa si recita “Tu solo il Santo” e si giunge, con Sant’Agostino, ad affermare: “viva sarà la mia vita tutta piena di Te” (Conf. 10, 29).

Ogni cristiano è quindi chiamato a vivere questo autentico rapporto con Dio, questa relazione di amore che esige la libera volontà di aderire all’Amato e in virtù del Battesimo può “conoscerlo (Dio), amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in Paradiso” (Catechismo della Chiesa Cattolica).

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Ma come è possibile declinare al presente l’idea di Santità? Forse cogliendo due suggerimenti.

Santità silenziosa e della quotidianità. “Fa sorgere il tacito fior, / Che spiega davanti a Lui solo / La pompa del pinto suo velo, / Che spande ai deserti del cielo / Gli olezzi del calice, e muor” (Alessandro Manzoni, Ognissanti, vv. 20-24): guardando alla santità si è tuttavia, a tutta prima, portati ad indirizzare l’attenzione ad alcune figure di Santi note o che hanno segnato profondamente la storia della stessa Chiesa.

Come non pensare a San Pietro o San Paolo, oppure, guardando ai tempi più recenti, San Giovanni Bosco o Santa Teresa di Calcutta.

Per essere santi” – ricorda Papa Benedetto XVInon occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali; è necessario anzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà” (1/11/2006).

Proprio in questa santità declinata nel quotidiano e nell’ordinarietà della vita assume importanza la metafora manzioniana del “tacito fior”: il silenzio con cui quella minuscola pianta dispiega lo splendore dei suoi colori ed effonde i suoi aromi profumati non sono sciupati, perché rallegrano unicamente lo sguardo di Dio. 

La breve vicenda di un fiore che sboccia, con le sue “spoglie lucenti”, che spande “i fuggenti olezzi del calice” (Appunti sparsi) e che poi muore, sembrano, agli occhi del mondo, uno sperpero, mentre invece diventano un atto di gratuita e pura adorazione.

Così è della santità: pur nascosta e lontana dai clamori e dagli elogi del mondo, essa è gradita e preziosa agli occhi di Dio.

La santità in cui Dio chiama a crescere, come ricorda l’esortazione Gaudete et Exultate, è, quindi, quella dei “piccoli gesti” (n. 16) quotidiani, tante volte testimoniati “da quelli che vivono vicino a noi”, la “classe media della santità” (n. 7); in altre parole, Papa Francesco invita, in questo documento, a diventare santi “della porta accanto”, vivendo accanto agli altri come “un riflesso della presenza di Dio” (n. 7).

Testimoni di Cristo in ogni epoca. I Santi “sono quelli che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap. 7, 2-4.9-14): questa è la tribolazione del martirio, del martyrium della testimonianza, vissuto nella stessa carne dai cristiani della fine del I secolo, ai quali l’apostolo Giovanni si rivolge, all’epoca di Domiziano, il primo imperatore che pretese l’adorazione della sua persona.

Le parole dell’Apocalisse si rivolgono anche ai battezzati di oggi, chiamati a vivere con serietà l’impegno della conversione, in un desiderio di profondo e radicale cambiamento, che mette in moto mente e cuore, fino a gettarsi nelle braccia della misericordia divina: “Ma la bontà infinita ha sì gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei” (Purgatorio, II, 122-123).

Testimoniare significa fidarsi di Dio, “gettarsi in Lui” (parafrasando San Filippo Neri), anche in mezzo alle prove, alle tribolazioni che la vita riserva, sapendo che la strada alla santità passa sempre per la via della croce, del potenziale fallimento agli occhi del mondo, nella via della rinuncia a se stesso (cfr. Gv. 12, 24-25) e nella costante ricerca “del volto di Dio” (cfr. Sal. 23).

Con il cuore che anela, guardiamo quindi verso la Casa, dove il Creatore attende ciascuno, amandola, con le parole stupende di San Giovanni di Fecamp: “O casa luminosa e bellissima, io ho sempre amato il tuo splendore… non si scordi di te l’anima mia. Dopo l’amore per Cristo sii tu la mia gioia” (Conf. Theologica), consapevoli che, citando  ancora San Filippo Neri: “non è superbia desiderare di passare in santità qualsivoglia santo, perché il desiderare d’esser santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le cose”.