Foto di Lorenzo Iorfino

A Tor Vergata c’ero anch’io, sì, ma in una veste un po’ diversa da quella del pellegrino con zaino e cappellino. In quei giorni infuocati e pieni di polvere, ero sul campo accanto ai giornalisti di tutto il mondo, immerso nel vortice frenetico della sala stampa della Santa Sede.

Il Giubileo dei Giovani non l’ho solo visto: l’ho attraversato, rincorso, raccontato. Eppure, tra accreditamenti, navette ad orari folli e un caffè dietro l’altro, qualcosa di profondo mi è rimasto addosso.

Due istanti, soprattutto, si sono scolpiti nella mia memoria come epifanie.

Il primo è accaduto la domenica, poco dopo l’atterraggio del Santo Padre. Avevo accompagnato un gruppo di fotografi in mezzo ai pellegrini, aiutandoli a trovare il punto perfetto per immortalare il passaggio della papamobile. L’aria era calda, piena di attese, i pellegrini scalpitanti. E poi, all’improvviso, l’inatteso: nel cielo azzurrissimo, attraversato solo da una timida nuvola, è apparso un arcobaleno. Non uno qualunque: un frammento sospeso, senza inizio né fine, come un segno lasciato a metà. Pochi lo hanno notato, e quasi nessuno lo ha fotografato. E in quel bagliore irreale ci ho visto un abbraccio celeste, come se il Cielo volesse suggellare la missione di Leone XIV. Ho scoperto solo nei giorni successivi che qualche pagina social aveva rilanciato l’immagine: a volte i segni trovano da soli la strada per essere visti.

Il secondo momento è accaduto durante la Messa. Nel mosaico vivo di lingue e volti, ogni fotografo era alla caccia dello scatto “diverso”. Ma le postazioni sono quelle, e in certi casi si può solo cercare il dettaglio che tutti ignorano. Quello che nessuno, però, ha potuto ignorare è stato il silenzio. Quando Leone ha pronunciato le parole della consacrazione e ha elevato l’ostia, l’intera, sconfinata spianata si è fermata. Nessun click, nessun mormorio. Un milione di ragazzi e ragazze — e persino la stampa — hanno riconosciuto il proprio centro.

Papa Leone ha un amore per l’Eucaristia che si percepisce anche se lo guardi da chilometri di distanza, anche se lo segui solo attraverso un maxischermo. Non è affettazione, è vita vissuta. È certezza. Ed è contagiosa. La sua forza non sta nella strategia o nella parola brillante, ma nella verità che abita nel suo tenero sguardo ogni volta che guarda l’altare. E, confesso, in quel momento non ho potuto trattenere le lacrime. Perché veramente Leone vuole “sparire affinché rimanga Cristo”.