(Editoriale)

Nessuno si è sentito esentato dal dire che la pandemia avrebbe cambiato la nostra vita e nulla sarebbe stato più come prima del Covid. Succedeva nel periodo buio della diffusione dei contagi. Si presumeva che neppure la “normalità” sarebbe ridiventata poi così “normale”. Stavamo prendendo le misure del nuovo vivere con pochi contagi e pochi ricoveri, che la guerra alle porte di casa ha fatto “saltare il banco”.

Questa guerra cambia il mondo e cambia noi, ancora una volta, in tempi più rapidi della nostra stessa capacità di adeguamento. Comunque la si veda, e per chiunque si faccia il tifo, in qualunque modo vada a finire questa guerra e quando, è già chiaro fin d’ora che sconvolge i piani che il Paese aveva fatto per uscire dalla crisi pandemica, così come sconvolge i piani che tutti noi avevamo fatto per riprenderci da due anni durissimi.

Ancorché debba essere avviato, già si reclama la revisione e l’adeguamento del famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, alla luce degli sconvolgimenti e dei nuovi bisogni che la guerra determinerà, di cui già si toccano gli effetti nefasti sui Paesi e sulla gente. Non c’è da aspettare per sapere se e come cambiare il nostro stile di vita; esso cambia già ora, non fosse altro che per il senso di sicurezza e di protezione che abbiamo perso. La guerra in Ucraina è l’argomento che, dai media fino al bar sotto casa, monopolizza la discussione e ci lancia in tentativi di previsione. Tocca il nostro presente anche con l’incertezza per il futuro. Gli analisti ci mettono davanti agli occhi scenari di carenze di prodotti, limitazioni nell’uso dei beni, sacrifici e contenimento dei consumi, aumenti del costo della vita. I sondaggi dicono che siamo spaventati anche perché non ne vediamo la fine.

Bisogna continuare a coltivare la speranza con gli innumerevoli gesti di solidarietà e di accoglienza, il ripudio della guerra che si è levato da tutto il mondo, i sacrifici che compiamo, il grido di pace che risuona da ogni dove. Ma la speranza nella quale non dobbiamo smettere di credere è quella della forza della preghiera, perché – come ha detto sovente papa Francesco – “la pace è dono di Dio, un dono da chiedere con fiducia nella preghiera.

Per questo è importante non solo essere testimoni di pace e di amore, ma anche testimoni di preghiera”. La preghiera è parlare con Dio “in silenzio, in ascolto, in ginocchio – ha ricordato il nostro Vescovo Edoardo durante l’Adorazione eucaristica per la pace della settimana scorsa –: Lui sa cosa vogliamo dirgli e ciò di cui abbiamo bisogno”.