Sei milioni di elettori sono chiamati alle urne tra domenica e la fine di maggio per una tornata amministrativa che interessa numerose città (Ivrea compresa). Per l’occasione sono scesi in campo i big dei partiti (Meloni, Salvini, Conte, Schlein…) ma la consultazione mantiene un profilo locale, con molte alleanze civiche o a pelle di leopardo.

La vera sfida politica si è invece aperta sulle riforme istituzionali: la Meloni ha avviato il confronto con le opposizioni sul presidenzialismo o sul premierato elettivo: ha ricevuto il sì di Renzi e Calenda sul “sindaco d’Italia”, mentre Pd, M5S e Verdi-Sinistra hanno contestato l’ipotesi di elezione diretta dei vertici istituzionali, confermando la validità dell’attuale impianto parlamentare della Repubblica. In questa situazione viene a mancare il quorum dei due terzi delle Camere per varare la riforma; la maggioranza potrà procedere egualmente, ma il giudizio finale spetterà agli elettori, con il referendum confermativo.

Nel 2016 la riforma monocamerale del Governo Renzi venne bocciata nelle urne; lo stesso Renzi oggi ha sposato in pieno (con un’intervista a La Stampa) la linea Meloni, suscitando inquietudini nella Lega che teme un allargamento della maggioranza; il capogruppo del Carroccio alla Camera, Molinari, si è subito smarcato, respingendo la tesi del premierato a favore del presidenzialismo.
Dalle prime mosse la strada delle riforme appare in salita. C’è poi il tema, delicatissimo, del rispetto del presidente in carica Sergio Mattarella, la figura istituzionale più apprezzata dagli italiani. Si parla di norme che entreranno in funzione nel 2029, alla scadenza del suo mandato: perché allora tanta fretta nel cambiare il quadro istituzionale?

In realtà la strada delle riforme è apparsa difficile sin dai primi anni Ottanta: dapprima il fallimento della commissione bicamerale Bozzi, poi il bis dell’accoppiata De Mita-Nilde Jotti, il naufragio dell’intesa D’Alema-Gianni Letta (il “patto della crostata” fu rovesciato da Berlusconi). La Costituzione repubblicana – come ricorda spesso Mattarella – in 75 anni si è dimostrata equilibrata e adeguata, in grado di affrontare autentiche tempeste, a cominciare dalla tragedia del terrorismo, che ha avuto il suo culmine nell’assassinio di Aldo Moro, presidente della DC. Tutti i cambiamenti sono possibili, ma senza spezzare l’equilibrio politico, sociale, culturale sancito dalla Carta.

Restano intanto sul tappeto i problemi economici, sociali, politici del Paese: Cgil-Cisl-Uil continuano la mobilitazione per ottenere una nuova riforma fiscale, che riduca il peso delle tasse su lavoratori e pensionati; sull’attuazione del PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) emergono ogni giorno nuove difficoltà per rispettare i vincoli europei, con il rischio di perdere alcune rate di finanziamento o di rinviare i lavori di alcuni anni; sull’immigrazione non è stato rimosso lo stallo con Bruxelles, perché è difficile l’intesa tra i 27 Paesi, soprattutto per il “no” agli immigrati dei Governi “sovranisti” e di quelli, liberali, del Nord.

L’Unione Europea è al centro delle manovra per le elezioni del maggio 2024, con i partiti italiani direttamente coinvolti. Il capo dei Popolari, il tedesco Weber, spinge per l’intesa a destra con i Conservatori della Meloni e con la Lega; nel Carroccio si è aperta una divisione tra Salvini (che vuole restare con Marine Le Pen) e il ministro Giorgetti (che preme per l’ingresso nel PPE). Su questa linea Berlusconi, che ha ripreso il controllo di Forza Italia, con un messaggio all’assemblea di Milano dall’ospedale. Problemi anche per M5S e Pd: Conte è in attesa del placet dei Verdi europei, dopo la sua richiesta di adesione; permane la ferma opposizione dei Verdi italiani di Bonelli.

Il Pd è di fronte alla proposta del capogruppo socialista a Bruxelles di cambiare la denominazione del partito: non più “Socialisti e Democratici”, come oggi, ma unicamente “Socialisti”; verrebbe cancellata l’intesa politica ottenuta dalla componente della “Margherita” al momento della fusione con i Ds nel Pd. Sarebbe una dura sconfitta per l’area riformista, già a disagio per la sterzata a sinistra della segreteria Schlein; dopo Fioroni, Borghi, Schillaci, anche il professor Cottarelli ha lasciato il gruppo parlamentare e il seggio a Palazzo Madama per tornare all’insegnamento alla Cattolica, motivando la sua scelta per il diverso orientamento sui temi economici e su quelli etici. Un segnale rilevante per la nuova segretaria, cui non possono bastare i sondaggi al 20% (stessa quota toccata da Zingaretti).