di Alessio Cremonini
paese: Italia, 2018
genere: drammatico
interpreti: Alessandro Borghi, Jasmine Trinca,
Max Tortora, Milvia Marigliano
durata: 1 ora e 40 minuti
giudizio: interessante

È stato definito un film necessario. La vicenda e la morte di Stefano Cucchi hanno coinvolto l’intero Paese, e il regista Alessio Cremonini si è sobbarcato il lavoro di mettere in scena una storia terribilmente umana, cercando di prendere le giuste distanze: è un film coraggioso, ma non politico.

Ottobre 2009. Stefano ha 31 anni e vive a Roma, è geometra e aiuta saltuariamente il padre nello studio: una sera esce di casa con un amico con cui divide le sigarette e le serate vuote della giovinezza; quando sono all’interno dell’auto vengono avvicinati da alcuni carabinieri che li interrogano e perquisiscono, dopo aver trovato hashish e una bustina di cocaina gli agenti portano il ragazzo in caserma. Cucchi viene arrestato e già il giorno successivo deve affrontare il processo per direttissima, ma davanti al giudice è sofferente, ha gli occhi pesti e il volto tumefatto: però nessuno gli chiede come si sia procurato queste lesioni…

Comincia in questo modo l’analisi cinematografica di una discesa all’inferno in cui il protagonista si trova di fronte il muro di qualcosa più grande di lui: le istituzioni e lo Stato che dovrebbero proteggerlo sono invece indifferenti fino ad annientarlo. L’intenzione di Cremonini non è quella di santificare una persona, ma descrivere le ultime vicissitudini di un uomo debole che non viene riconosciuto dalla giustizia: e sorgono domande sulla sicurezza che dovremmo ricevere all’interno delle mura di una scuola, di un ospedale, o di un istituto carcerario.

È un film molto “fisico”: Alessandro Borghi, bravo e concentrato, si è immedesimato nei panni di Stefano Cucchi che aveva una figura esile, dimagrendo quasi 18 chili e rinchiudendosi in una interpretazione dove è il corpo a diventare protagonista, a mostrare al posto delle parole. Le mura sempre più strette, il buio quasi costante.
Non è indispensabile giudicare (il processo è ancora in corso), ma alla fine fa male.

Graziella Cortese