Dopo i referendum la Meloni intende portare in Parlamento una riforma del sistema elettorale in vista delle politiche del 2027, con l’obiettivo di abolire i collegi uninominali e sostituirli con il sistema proporzionale con le preferenze, assegnando il premio di maggioranza alla prima coalizione per numeri di voto, anche se inferiori alla maggioranza assoluta dei votanti. Queste anticipazioni, emerse sui media dopo una relazione di Tajani a Forza Italia, confermano le preoccupazioni politiche della Presidente del Consiglio dopo la proposta Franceschini al centro-sinistra: correre uniti anche con diverse posizioni politiche per ottenere “il pareggio”, soprattutto per i risultati – previsti dai sondaggi – nei collegi uninominali del Sud.

Nel “campo largo”, in realtà, la linea Franceschini, è già attuata: sui referendum Pd-Pentastellati-Alleanza Verdi Sinistra sono per cinque Sì, mentre l’area riformista e centrista si distingue per posizioni diverse, tranne il quesito sul diritto di cittadinanza dopo 5 anni, su cui sono unanimi. Altrettanto evidente è stata “la diaspora” alla Camera sulle dichiarazioni della Meloni: la Schlein l’ha contestata essenzialmente sulla sanità mentre Conte ha criticato la politica estera, con un intervento molto duro contro l’Europa di Bruxelles, con una linea di opposizione non molto dissimile da quella della Lega. Nelle stesse ore, a Lisbona, Mattarella e Draghi rilanciavano una linea opposta, chiedendo alla UE un forte sviluppo delle iniziative sia verso Trump (sui dazi) sia con Putin (per l’Ucraina).

La crescente concorrenza dei Pentastellati verso i Dem (incoraggiati dai sondaggi: 21-22% il Pd, 13-14% il M5S) rende impossibile un accordo sulla leadership tra Conte e la Schlein; per questo, nell’ipotesi di una “buona” partecipazione ai referendum, Pd-M5S-AVS avrebbero condiviso l’ipotesi di candidare alla guida della coalizione il segretario della Cgil Maurizio Landini, espressione di una linea di netta alternativa di sinistra. Opposta la valutazione dell’area riformista che rilancia la tesi di Prodi: non si vince senza l’apporto dei moderati, come dimostra l’esempio dell’Ulivo. Di qui l’ipotesi della candidatura di Paolo Gentiloni, già premier e commissario UE, braccio destro di Francesco Rutelli nella Margherita e nell’Ulivo (per la verità alcuni eurodeputati dem, tra cui l’onorevole Pina Picierno, pensano anche a Mario Draghi: ma l’ex premier non accetta investiture politiche).

Il travaglio del “campo largo” non può nascondere analoghe “diaspore” nel destra-centro, con la linea della Lega sempre più anti-UE, anche con la nomina a vice segretario del generale Vannacci, sovranista, filo-Putin, sostenitore dell’ultradestra tedesca dell’AfD, promotore del convegno di Gallarate dell’estrema destra europea. Salvini, tra l’altro, è il principale artefice della mancata partecipazione dell’Italia al Gruppo europeo dei “Volenterosi”, difensore – contro ogni logica – del Governo di Netanyahu. Ora la Lega, a livello regionale, ha pure aperto il contenzioso con il Governo per il terzo mandato dei Governatori e Presidenti, dal Veneto, al Friuli, al Trentino. È un segno di malessere politico del centro-destra evidenziato dalla Presidente di Mondadori Marina Berlusconi, molto critica con la linea Trump, in aperto dissenso con la Meloni.

Le divisioni politiche andrebbero affrontate in termini programmatici, con precisi contenuti; negli anni novanta, dopo Tangentopoli, si è pensato di risolvere i problemi con la riforma maggioritaria; ora si punta ad una nuova modifica, insieme proporzionale e maggioritaria, nell’attesa del “premierato elettivo”.

Con eccessiva facilità si è frantumato il sistema dei partiti, pur difettoso, per sostituirlo con il dominio ieri della TV, oggi dei social, con un ruolo esorbitante del potere finanziario. Le coalizioni dovrebbero sorgere su precise convergenze programmatiche sui principali temi della società, non su convenienze elettoralistiche.

Oggi, il primo tema dovrebbe riguardare il futuro dell’Europa: un Continente unito, come auspicavano i padri fondatori Adenauer, De Gasperi, Schumann, Spinelli, o il trionfo dei nazionalismi del muro contro muro? Una cosa è certa: non possono seriamente stare insieme europeisti e sovranisti, per rispetto a mezzo miliardo di cittadini della UE.