La Meloni e la Schlein hanno avuto un colloquio sulla riforma della legge elettorale, a due anni dal voto politico del 2027. Tramontata la riforma costituzionale del “premierato elettivo”, la Presidente del Consiglio, punta al ritorno al sistema proporzionale integrale, senza i colleghi uninominali; contestualmente propone un premio di maggioranza per il primo Polo che supera il 40% dei voti espressi. Il proporzionale ci riporta alla Prima Repubblica, il “premio” per i Poli alla fase berlusconiana: una soluzione ibrida, che nasconde esigenze politiche immediate.

La premier teme che il “campo largo” del centro-sinistra, nonostante le forti divergenze interne, segua la proposta Franceschini di un’alleanza generale, in grado di vincere soprattutto in molti colleghi uninominali del Sud, determinando un “pareggio”, ovvero uno stallo in Parlamento, con i poteri di nomina del Governo rimessi interamente al Capo dello Stato. Secondo i sondaggi la coalizione di destra-centro registra una tenuta del partito della Meloni, ma Salvini e Tajani non crescono, anzi. La coalizione di governo è valutata sui 12 milioni di voti, un quarto dell’elettorato: si può assegnare ad una minoranza il potere maggioritario in entrambe le Camere? Questo il punto debole della proposta Meloni, nella logica di una democrazia rappresentativa, forte del sostegno popolare.

Per ora la Schlein non si è espressa a riguardo, in attesa di conoscere le diverse sensibilità presenti nel Pd. Ha invece colpito l’analisi del leader centrista Calenda, molto preoccupato per la crisi delle istituzioni parlamentari. Il leader di “Azione” propone una Assemblea Costituente di cento eletti per rifare la Carta Costituzionale. Ma la domanda da porsi è sulla responsabilità dell’attuale crisi della politica: dipende dalla Costituzione o piuttosto dalla confusione in atto nei partiti e nei Poli?

Anche l’ultimo dibattito alle Camere in tema di politica estera, dopo l’entrata in guerra degli USA contro l’Iran, ha confermato un quadro politico incerto e disarticolato: la Meloni, pur negando le basi Nato italiane agli attacchi USA, si è ben guardata dalla minima critica all’interventismo bellico “dell’amico Trump”; la Lega resta schierata con Netanyahu e vicina a Putin sull’Ucraina; Tajani, ministro degli esteri, appare isolato rispetto al lavoro delle maggiori Cancellerie europee (Parigi, Berlino, Londra). Altrettanto clamorosa la divaricazione dei Pentastellati nel centro-sinistra, con la richiesta di riprendere le forniture energetiche dalla Russia (“Un documento scritto da Putin”, il commento al vetriolo di Calenda).

In questo contesto si pone un interrogativo di fondo sulla riforma elettorale: perché non applicare il sistema proporzionale “puro”, con tetto del 5% per ogni lista, come in Germania? Ovviamente senza premi di maggioranza per i Poli. A Berlino la governabilità è sempre stata garantita, come in Italia nella prima Repubblica. Dopo lo scandalo di Mani Pulite si è scambiata la crisi dei partiti con quella dei metodi democratici (introduzione del maggioritario, poteri accresciuti all’uomo-donna solo al comando…), ma i risultati prodotti dalle ammucchiate nei due Poli non sono esaltanti.
La stessa flessione nella partecipazione elettorale è un segnale da non sottovalutare: il 58% dei cattolici praticanti – secondo un sondaggio del Corriere della Sera – si sono dichiarati per l’astensione non per pigrizia, ma per scelta meditata. Non è infatti semplice la scelta tra i Poli in presenza di indicazioni confuse non solo sulla politica estera, ma anche sull’economia, sulla Giustizia, sui temi etici, tutti argomenti centrali per lo sviluppo della società e la tutela del “bene comune”.

Il sistema proporzionale consente all’elettore una valutazione più sicura sui temi programmatici e rimette al Parlamento il compito essenziale di dare vita a convergenze di governo valide. Oggi Camera e Senato sono principalmente organi subalterni al potere dell’Esecutivo, con obiettivo ridimensionamento del ruolo rispetto alle indicazioni della Carta costituzionale.

L’iniziativa della Meloni dovrebbe andare oltre le esigenze tattiche (il voto 2027) e puntare ad una soluzione organica che superi la frattura tra Prima e Seconda Repubblica originata da “Mani Pulite”.

Va favorita la partecipazione al voto: il controllo del potere politico non può essere di una minoranza.