La resistenza afgana contro l’occupazione sovietica nella provincia di Herat era stata durissima, ma anche decisiva nel provocare il ritiro delle forze occupanti. Dopo alcuni anni di relativa tranquillità, erano arrivati i Talebani; poi, nel 2003, le truppe della Nato, che nel 2014 aveva passato le responsabilità operative ai soldati afgani. La vicinanza con Kandahar e Helmand, focolai di resistenza armata alla presenza di truppe statunitensi, avevano reso la provincia molto insicura e impoverita. Il contingente Nato è guidato da comandanti italiani e alle nostre truppe è affidata la gestione di una grande base, provvista di un ospedale militare.
Il capitano farmacista diventa amico del gruppo incaricato del pattugliamento e delle attività di sostegno alla polizia locale della città. Così riesce a uscire più volte in missione sul territorio e a visitare l’ospedale pediatrico. Rimane turbato dalle condizioni di miseria della popolazione. Soprattutto lo colpisce la mancanza di medicine nel reparto di neonatologia e pediatria. Anche malattie infettive curabili con comuni antibiotici diventano mortali. Capisce perché l’Afghanistan ha il triste primato di avere il più alto tasso di mortalità infantile al mondo! Il pensiero di essere direttore di una farmacia ben fornita e di non potere usare le medicine perché destinate al solo uso del personale militare italiano e afgano, non gli dà pace.
L’amicizia con il cappellano militare gli permette di confidare questa segreta pena. Il sacerdote bergamasco aveva conosciuto il Banco Farmaceutico nella sua città e gliene parla. Così arriva alla sede del Banco una richiesta proveniente dal remoto ospedale militare di Herat: un appello per avere farmaci per i bambini dell’ospedale pediatrico di Herat. In pochi mesi i farmaci necessari arrivano e vengono consegnati alla direttrice dell’ospedale in una cerimonia che vede coinvolti i nostri militari, le autorità locali civili e tribali.
“Nel Vangelo si racconta di un uomo ferito che non fu aiutato dal prete e dal sindaco del paese ma dal buon samaritano, che scese da cavallo perché si commosse…. Oggi c’è bisogno di commozione. Qualsiasi mestiere tu stia facendo, se ti commuovi, ti converti, rinasci e servi.” (Ernesto Olivero)