Il suono della campanellina che introduce al nuovo anno scolastico, lunedì prossimo 12 settembre, ci ha spronato a dedicare parte del nostro “primo piano” di pagina 3 alla scuola. Ma la stessa campanellina è anche un allarme di cui preoccuparsi in merito all’abbandono scolastico dei nostri giovani. La campanella della scuola la suonano i bidelli, quella dell’abbandono l’ha suonata Save the Children nel suo Rapporto dal titolo “Alla ricerca del tempo perduto” sulle disparità di apprendimento e disuguaglianze di servizi (mense, palestre, tempo pieno, edifici) nel mondo della scuola in Italia.

Il quadro che ne esce non è edificante e non sembra neppure essere troppo nelle corde della campagna elettorale che ci porta al voto del 25 settembre. Qualche numero non farà male (anzi, male ne fa, a chi crede nell’importanza di scolarizzazione ed educazione) per capire il dramma del nostro Paese; la dispersione scolastica “esplicita”, ossia l’abbandono degli studi prima del diploma delle scuole superiori, è al 12,7%. Siamo, tenetevi bene!, terz’ultimi in Europa; fanno peggio di noi solo Romania con poco più del 15% e Spagna con il 13,3%.

L’impoverimento educativo dei nostri giovani è notevole, rafforzato poi, stando ai parametri Invalsi, da quel 9,7% di studenti con diploma superiore, che nel 2022 non hanno avuto le competenze necessarie per entrare in università o nel mondo del lavoro. C’è poi chi ha tirato i remi in barca del tutto; non studia più, non lavora, non cerca lavoro, è fuori da ogni percorso di crescita ed inclusione nel lavoro, nella scuola o nella formazione. Si chiamano “neet” ed hanno tra i 15 e i 29 anni e sono il 23,1%. Su questo capitolo siamo i peggiori in Europa dove la media si attesta sul 13,1%. È il caso di dire che siamo ultimi della classe, anzi dei veri e propri “fuori-classe”.

E la disparità nord-sud del Paese si fa ancora una volta amaramente sentire. Se non si investe abbastanza e convintamente in scolarizzazione ed educazione i risultati non potranno essere che questi. L’Italia investe il 4,3% del Pil in spese per l’istruzione, siamo anche qui in fondo alla lista dei Paesi europei; peggio di noi solo Bulgaria, Romania ed Irlanda, gli altri 23 Paesi Ue sono più bravi. Save the Children nel Rapporto chiede di aggiungere una ventina di miliardi di investimenti per la scuola, rispetto ai 71 miliardi di euro del 2020, per arrivare almeno alla media europea del 5% del Pil.

Laddove l’offerta educativa è più ricca, con scuole a tempo pieno, palestre, mense, strumenti e altro, i frutti dell’istruzione sono migliori. Ma è proprio laddove le famiglie vivono le maggiori difficoltà economiche che c’è bisogno di arricchire quell’offerta educativa, secondo il pensiero di Save the Children espresso nel Rapporto, che lancia quindi un allarme da raccogliere quanto prima sia nelle “promesse” elettorali di coalizioni, partiti e candidati, che ci paiono ancora lontani dal problema reale, sia nel nuovo Governo che si formerà, al quale l’ong chiede “un investimento straordinario che parta dalla attivazione di aree ad alta densità educativa nei territori più deprivati”.

Parlando della scuola, e soprattutto di chi sta fuori dalla scuola per le ragioni di cui sopra, non possiamo non toccare l’argomento del bullismo che con istruzione ed educazione ha molto a che fare. Le notizie degli ultimi giorni ci mettono davanti i rischi cui sono continuamente esposti i più giovani, ed in particolare chi è ai margini del mondo della scuola, del lavoro, della formazione. Mentre proseguono le indagini per accertare quanto avvenuto a Gragnano, con la morte di un minorenne, vittima di bullismo in rete, ritorna il monito alla responsabilità educativa lanciato questa volta da monsignor Francesco Alfano, arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, diocesi che comprende Gragnano, il quale ricorda che, davanti a simili tragedie, “nessuno può lavarsi le mani. Occorre mettersi in ascolto gli uni degli altri, facendoci, al tempo stesso, promotori di azioni concrete e compagni di viaggio delle nuove generazioni”.

In gioco c’è il futuro dei nostri ragazzi; dobbiamo decidere in fretta se continuare ad essere solo spettatori di questa involuzione sociale, oppure essere soggetti protagonisti di processi educativi che sanno chiedere e pretendere anche dalle istituzioni nazionali preposte, più investimernti in questo settore, perché l’emergenza educativa sarebbe veramente un “di troppo” dopo quella pandemica e quella energetica che già abbiamo tra i piedi.