Foto generata con I.A.

Ho partecipato alla canonizzazione di Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati anche, ma non solo, per questioni di lavoro. È stato un evento commovente, e se devo essere sincero, per affetto, devozione personale e prossimità territoriale, più per Frassati che per Acutis. Ma sarebbe ipocrita fingere che Piazza San Pietro si sia riempita senza la canonizzazione del primo “millennial”, appunto Carlo Acutis. Numerosissimi i giovani ammaliati da questo giovanissimo santo che ben presto potrebbe diventare, e per molti già lo è, patrono di internet e degli informatici.

Eppure esiste una figura che da tempo è associata a questo patronato, anche se spesso confusa con un omonimo: Sant’Isidoro di Siviglia (da non confondersi col più celebre Isidoro l’Agricoltore canonizzato nel 1622 insieme a san Filippo Neri). Il vescovo di Siviglia, vissuto nel VII secolo, fu uno dei più grandi intellettuali del suo tempo. La sua opera monumentale – le “Etymologiae”, venti libri in cui raccolse e organizzò tutto il sapere dell’epoca – può essere vista come un’enciclopedia ante litteram, una sorta di Wikipedia medievale. L’intuizione di salvare la cultura classica dal naufragio e renderla fruibile alle generazioni future fa di lui un patrono naturale di chi oggi si muove nel mare digitale, intento a ordinare, collegare, diffondere informazioni.

Per questo, nei primi anni Duemila, si è diffusa la convinzione che san Giovanni Paolo II lo avesse designato come patrono di internet: eppure, a ben vedere, non esiste un atto ufficiale che lo certifichi. Lo stesso vale per Acutis: le folle già lo acclamano tale, ma la Chiesa non ha ancora messo nero su bianco nulla in proposito. Resta la forza di un desiderio, di un riconoscimento che avrebbe un significato profondo. Perché un Carlo Acutis riconosciuto ufficialmente “patrono di internet” sarebbe un segno potente di vicinanza e di comprensione verso un mondo che troppo spesso si sente poco abbracciato dalla Chiesa. Lo si avverte nel dialogo con tanti missionari digitali, giovani e meno giovani che cercano di aprire il cuore delle persone tramite i più disparati canali digitali e che spesso confessano un senso di solitudine, come se fossero stati gettati senza sostegno in un terreno immenso e inospitale.

Eppure proprio lì, dentro le reti, nel continuo flusso di connessioni, si gioca una parte ormai decisiva dell’evangelizzazione. E proprio lì, per mezzo di questi missionari digitali, che la Chiesa si china a curare, con la stessa tenerezza con cui un pastore lo fa col suo gregge.