(Editoriale)

Mai una Quaresima fu così carica di privazioni, digiuni e limitazioni. Persino chi non era avvezzo a seguirne i principi e le regole, oggi, in questo clima di guerra contro il coronavirus, se ne rende conto.

La Quaresima – questo tempo attuale, oggi più che mai nostro, che ci porta fino a Pasqua zigzagando tra apprensioni e speranze – è un tempo di prova in cui siamo privati di non poche cose. Della consueta libertà, di cui capiremo il vero senso e significato quando faticosamente l’avremo riacquistata; del rapporto con gli altri, a cui sapremo dare il vero valore quando potremo riabbracciarli; del lavoro e della scuola, dei quali ci lamenteremo meno e per i quali ci impegneremo di più quando potremo rivarcarne la soglia; della normalità della vita, che sarà quanto mai sufficiente a tempo debito, senza quella sfrenata ed irrequieta rincorsa a ciò che sembra essere speciale, senza realmente esserlo.

E poi la grande privazione della Messa e dell’Eucaristia, occasione per scrollarci di dosso la sola abitudine, diventata ormai ingombrante, e riappropriarcene in modo nuovo, rigustando – appena sarà possibile – tutto il significato profondo che Messa ed Eucaristia rivestono per la vita del credente, vita di fede e di impegno nella società.

Questa crisi sanitaria in tempo di Quaresima grida il monito per l’essenziale, perché all’essenzialità del vivere quotidiano oggi siamo costretti da tante privazioni e limitazioni.

Da qui nasce l’opportunità, accettando la condizione che ci è data di vivere tra sacrifici di oggi, e pure quelli di domani, di vivere la Quaresima come un tempo di ricerca di quel Dio che nutre la nostra vita e anima la nostra partecipazione nella società di cui facciamo ampiamente parte.