Alle elezioni comunali di Ivrea (come già per le politiche di marzo) non ci sono state le “rivoluzioni” che forse qualcuno si aspettava e che hanno caratterizzato altre parti dell’Italia. Le parole d’ordine del “cambiamento” sono servite a poco. O forse hanno un’altra declinazione nel territorio eporediese? Sembra che non si butta via nulla se c’è valore. Forse si cerca di costruire, si preferisce l’evoluzione.

Non è avvenuto così negli edifici olivettiani? Sono ancora tutti lì e se ne cerca la trasformazione. Ma vale anche nel politico-sociale. Come se la ben conosciuta fatica di costruire un patrimonio non permettesse di fare tabula rasa prima di ricostruire.
Appare una scelta di una città divenuta anziana, ma non disperata. E’ anche la piccola sapienza di non cercare solo colpe del passato, ma invece la coscienza che “il nuovo” chiede studio, perseveranza, virtù di ricerca e radici profonde su cui costruire e non solo slogan di marketing. Prima il prodotto e poi la vendita.

Sono rimaste in gioco le due aree politiche del centro destra e del centro sinistra che si confronteranno al ballottaggio alla fine della prossima settimana. Il futuro sarà il risultato di fatiche e non di improvvisazioni. Forse occorre far rendere i beni e le conoscenze del patrimonio passato unendoli con la scienza del presente, proponendosi di farsi carico degli sconfitti dalle evoluzioni (i nostri poveri) e incoraggiando l’aiuto di chi sa come fare per andare avanti, senza pretese di invenzioni non sperimentate bensì con il duro lavoro di amministrare bene.