Da alcuni giorni una piccola bufera si è scatenata nel mondo della scuola a seguito delle dichiarazioni del ministro Valditara sull’annoso tema delle scuole aperte durante l’estate. Il ministro dell’Istruzione fa riferimento a diverse problematiche (il contrasto alla denatalità, la bassa occupazione femminile, potenziamento scolastico degli studenti con maggiore difficoltà, abbattimento dei costi dei centri estivi) che l’apertura delle scuole in estate, su base volontaria, quindi senza obbligare né docenti né studenti a parteciparvi, potrebbe contribuire a sostenere.

I più critici sono stati i docenti, che sentono sulle spalle un ulteriore peso di lavoro e responsabilità, sebbene il ministro abbia pensato di potenziare il team degli insegnanti con tutor che facilitino lo studente in difficoltà attraverso la personalizzazione di un intervento educativo. Non dobbiamo dimenticare che la scuola rimane istituzione centrale, e come tale ha la necessità di connettersi con tutto il mondo che la circonda e con le agenzie territoriali che potrebbero sostenere le difficoltà delle famiglie e degli studenti.

Se per crescere un bambino ci vuole un villaggio (secondo un famoso proverbio), in questo villaggio ci devono essere case, attività commerciali, luoghi di ristoro, ospedali, e tanto altro, ma soprattutto scuole e in particolare una scuola aperta, accessibile sempre, che renda disponibili i propri spazi per la comunità intera tanto da acquisire un valore aggiunto per tutti. Una scuola pensata come contenitore, come fucina in cui si sperimentano diverse opportunità, che rimette al centro se stessa perché ne difende la propria importanza deve essere sostenuta attraverso l’impegno di tutti.

Deve esserci l’impegno della politica e delle istituzioni che devono rendere le scuole luoghi più accessibili, sicuri, belli, sostenibili. Vanno stanziati fondi per l’edilizia scolastica con un progetto che parta dal basso, con l’intervento e la partecipazione della collettività che ruota intorno quella scuola affinché si sostanzi un sentimento di appartenenza e di protezione per quell’edificio che diventa di tutti.

Un progetto scolastico partecipato andrebbe sostenuto anche tra insegnanti, tutor e famiglie per evitare dispute interne e che rimetta al centro lo studente e in ogni caso la criticità di quel territorio. Ormai dovrebbe essere acclarato il fatto che ognuno dei nostri luoghi è un sistema a sé, con le proprie criticità e risorse. La prossimità di cui discutiamo in altri contesti va applicata anche nella progettazione scolastica. La capacità di analizzare il contesto, prevedere i bisogni di crescita e di evoluzione che coinvolgono un territorio, permettono di strutturare opportunità che hanno un riscontro immediato in termini di impatto individuale e sociale.

La voglia di andare a scuola, la motivazione ad allargare i propri orizzonti si rende più facile se le proposte che la scuola offre sono inseribili subito nel tessuto del territorio permettono allo studente, ma anche al corpo insegnante e alle famiglie, di poter passare da una motivazione astratta, esterna, ad una progettazione più solida, concreta. E se così fosse, si potrebbero anche progettare scambi culturali, confronti propositivi tra diverse realtà scolastiche e territoriali che potrebbero superare le differenti rivalità ma che andrebbero a sostegno della crescita della persona e della comunità in generale.

Concludiamo pensando al fatto che una proposta capace di rimettere la scuola centrale nella vita di ogni cittadino debba avere il tempo necessario a crescere, svilupparsi ed aggiustarsi nel tempo. L’impegno di tutti dovrebbe essere prospettico, dovrebbe coprire almeno un triennio per poter fare in modo che si possano delineare delle buone pratiche, per poter garantire tutti gli aggiustamenti necessari per far si che quell’idea, quel modello possa essere solido, un pilastro su cui tutto il sistema può contare.