Nella recente riunione dei Paesi del G7 in Canada, Donald Trump ha dimostrato ancora una volta il suo disprezzo verso l’Europa (Italia compresa) e la sua scelta prioritaria verso la Russia e la Cina. La premier Meloni, sua “amica politica”, gli ha chiesto trattative per il conflitto Israele-Iran e tregua per Gaza affamata dalla guerra. Il Presidente USA, lasciando anzitempo il summit, ha invece annunciato massicci bombardamenti su Teheran e difeso su Gaza la linea Netanyahu; dulcis in fundo, ha proposto Putin, l’aggressore della martoriata Ucraina, come “mediatore” tra Tel Aviv e Teheran. In altre parole non ha lasciato nessuno spazio per la Meloni e gli altri leader europei.
Peraltro l’irrilevanza in politica estera del Governo Italiano era già emersa dalle posizioni dei due vice-premier: il ministro degli Esteri Tajani aveva escluso un attacco di Israele mentre volavano i missili verso l’Iran; a sua volta Salvini aveva condiviso la proposta di Putin “mediatore”, smentendo le posizioni contro l’aggressione russa a Kiev sia del presidente Mattarella sia della stessa Meloni. In una situazione mondiale da “Terza guerra”, come aveva previsto Papa Francesco, l’isolamento dell’Italia e dell’Europa ha caratteri drammatici.
A Bruxelles la voce della presidente Ursula von der Leyen si sente flebile; alcuni giorni prevale addirittura il silenzio davanti alle continue catastrofi. I leader europei, con un nazionalismo dannoso e un protagonismo discutibile, oscillano dal contrasto anti-Trump di Macron e Merz alla linea filo-Putin dell’ungherese Orban. Occorrerebbe una sola, forte presenza: se la von der Leyen non ha carisma e coraggio, si provveda diversamente, senza perdere altro tempo, perché l’Europa, culla dei valori democratici, non può soggiacere alla nuova teoria del “più forte”, che unisce Trump, Putin e XI.
Occorre rilanciare – come hanno chiesto Papa Leone XIV e il presidente Mattarella – la linea del dialogo, del rispetto dello Stato di diritto, della Carta dell’ONU, prendendo atto che la svolta di Trump pone fine a ottant’anni di pace, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
La rottura degli accordi internazionali apre scenari inquietanti: la fine del trattato di non proliferazione nucleare spinge la rincorsa alla bomba atomica di molti Stati, a cominciare dalla Turchia, con parecchi leader afro-asiatici interessati. La rinuncia nella Terra di Cristo alla tesi ONU dei due Stati, israeliano e palestinese, consente alla destra religiosa di Tel Aviv di puntare sull’occupazione di tutta la Striscia di Gaza e della Cisgiordania, con l’espulsione di due milioni di palestinesi: una tragedia umanitaria intollerabile, soprattutto pensando a migliaia e migliaia di bambini e donne innocenti. La proposta di Putin come “mediatore” lo “assolve” dall’aggressione all’Ucraina, e gli consente di rifiutare ogni ipotesi di tregua, continuando nei bombardamenti sulle città.
Ma quale logica può avere un nuovo trattato di Yalta che concederebbe agli Usa (e a Netanyahu) il controllo del Medio Oriente, alla Russia il primato in Europa, alla Cina il dominio su Taiwan (grazie anche ad un buon accordo sui dazi)?
L’Europa e l’Italia devono uscire dall’incertezza, dai dubbi: la linea Trump, pur altalenante, è la negazione di ottant’anni di solidarietà occidentale; la tesi nazionalistica di “Prima l’America” apre la via ad ogni sopruso, compresa l’ipotesi – avanzata dal ministro della Difesa USA – di invasione di Panama e della Groenlandia.
Le radici cristiane dell’amore per il prossimo, quelle laiche della tolleranza oggi debbono unire il Vecchio Continente nella promozione di un ordine mondiale che rispetti la persona, favorisca la solidarietà, stimoli lo sviluppo pacifico e giusto della società.
Il Continente della democrazia non può lasciare il governo dell’umanità ai tre nuovi autocrati al comando: Trump, Putin, XI. Per questo da Bruxelles (e anche da Roma) emerge l’urgenza di una svolta: il tempo della tattica e degli “amici” è ormai finito, incombono scelte forti e coraggiose.