Foto generata con I.A.

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha da quest’anno esteso il divieto d’uso degli smartphone anche alle scuole secondarie di secondo grado. Si tratta di un provvedimento francamente anacronistico. Pensare di “mettere via” il cellulare oggi non solo è impossibile, ma tradisce un’idea sbagliata di educazione. La nostra cultura è ormai digitale, come ricorda anche monsignor Lucio A. Ruiz, Segretario del Dicastero per la Comunicazione: “Oggi la nostra cultura ci fa vedere quanto la vita reale e la vita digitale siano una sola realtà”. Come può la scuola fingere che questo mondo non esista?

Domanda: qual è il compito della scuola? Non quello di sostituirsi alla famiglia: i genitori sono i primi educatori, la scuola li affianca. Il suo vero mandato è formare, cioè fornire strumenti per affrontare la vita. E nella vita, piaccia o no, il cellulare è onnipresente. All’università nessuno sequestra gli smartphone, anzi, con quelli ci fai perfino gli esami. Al lavoro, men che meno. Quindi, davvero crediamo che un ragazzo uscito da cinque anni di proibizioni sia magicamente pronto a un uso responsabile della tecnologia?

Al contrario, il proibito attrae. Lo conferma Roberto Franchini, docente di Pedagogia Speciale alla Cattolica: “Lo smartphone può ipnotizzare gli studenti, ma la scuola dovrebbe insegnare a usarlo, non bandirlo”. Vietare non educa, aumenta la dipendenza. E infatti gli studenti già oggi consegnano un vecchio telefono alla cattedra e scrollano di nascosto quello vero.

Serve una didattica che integri, non che censuri. Lo dico con un paragone azzardato: un genitore che obbliga il figlio alla Messa domenicale non lo educa, lo costringe. Appena può, quel figlio smetterà di andarci. Ma se ne trasmette il senso, il figlio ci andrà scegliendo di sua sponte. Lo stesso vale a scuola: non è il sequestro che insegna, ma la testimonianza di docenti capaci di mostrare come e quando il cellulare sia utile, e quando no. Non tutti i professori ne sono in grado però, è più facile vietare a macchia d’olio. Ed anche fossero in grado, il divieto dall’alto dimostra una grave mancanza di fiducia nei loro confronti, che peraltro non sono immuni dal rischio dipendenza da cellulare, tanto quanto i ragazzi a cui insegnano.

Ricordo i miei anni in classe: niente divieti ministeriali o circolari scritte in minaccioso stampatello maiuscolo, solo buon senso… e son a malapena passati quattro anni. Alcuni professori lo bandivano, altri lo integravano. E noi, proprio perché liberi, imparavamo a spegnerlo da soli. Trattare i ragazzi come animali al guinzaglio non li prepara alla vita. Sono piccoli adulti, e vanno educati come tali. In fondo il cellulare è uno strumento, non un nemico.