Le elezioni regionali in Campania, Puglia e Veneto hanno confermato le previsioni della vigilia: il “campo largo” ha riconquistato la Campania e la Puglia, il destra-centro il Veneto. Sondaggi “azzeccati” anche per l’astensionismo, che ha raggiunto il 56%, con una crescita in cinque anni di quasi il 15%. I tre nuovi governatori (Antonio Decaro, Pd, a Bari; Roberto Fico, pentastellato, a Napoli; Alberto Stefani, Lega, Venezia) ottengono il consenso di una minoranza di elettori, circa il 25%. Non è un bel segnale per le istituzioni democratiche né per l’Ente Regione. Il distacco dei cittadini investe sia la leadership nazionale sia la dirigenza locale: la personalizzazione del confronto non ha smosso l’opinione pubblica (più interessata ai contenuti programmatici) e la stessa discesa in campo dei leader nazionali non ha mutato l’ambiente.
Meloni, Tajani, Salvini e Lupi, da un lato, Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni e Renzi dall’altro hanno motivato i loro sostenitori, ma non hanno intercettato la maggioranza astensionista, anzi… Il bipolarismo destra-sinistra appare bloccato, trent’anni dopo la caduta della prima Repubblica e la nascita del binomio Berlusconi-Prodi, origine di forti passioni politiche.
Oggi, per rispondere all’astensionismo, torna d’attualità la riforma della legge elettorale. Il Governo, preoccupato per il voto nel Sud che potrebbe determinare un “pareggio” alle Camere con il “campo largo” modello Franceschini, pensa all’abolizione dei collegi uninominali e all’introduzione piena del sistema proporzionale, assegnando tuttavia un premio maggioritario alla coalizione di liste che superano il 40% dei voti espressi. In altre parole la conferma del bipolarismo. Il “campo largo” contesta questa ipotesi di riforma, ritenuta pro-Meloni, ma con posizioni diverse: il Pd difende i colleghi uninominali mentre Conte e i Centristi vedono bene il ritorno al proporzionale, ovviamente senza premi di maggioranza.
Il nodo gordiano da sciogliere riguarda l’obiettivo della politica: vincere le elezioni per gestire il potere, o governare con un programma credibile?
Il limite attuale nella politica italiana, avvertito dagli elettori, è la confusione all’interno dei due Poli: emblematico il giudizio sulla prima proposta Trump sull’Ucraina, valutata pro-Putin anche da esponenti repubblicani del Congresso USA: a favore Salvini in maggioranza e Conte nel “campo largo”; contrari il ministro degli Esteri Tajani, Schlein, Renzi, Bonelli, Fratoianni; a metà strada la Meloni. Il risultato finale è un ruolo marginale dell’Italia in politica estera, con una guerra atroce alle porte di casa.
La stessa situazione si registra sui rapporti con Bruxelles e sul futuro dell’Europa: contrari all’Esecutivo von der Leyen, per ragioni diverse, Salvini e Conte; favorevoli Forza Italia e Pd, “astenuta” la Meloni. Ed anche sul bilancio dello Stato il clima non è molto diverso: il ministro dell’Economia Giorgetti ha ottenuto un riconoscimento dalla prestigiosa agenzia di rating Moody’s per aver riportato il deficit pubblico nel limiti del 3%, come chiedeva Bruxelles; ma la scarsità delle risorse fa litigare Tajani e Salvini sui tagli da effettuare. Nel “campo largo” – altro esempio – la sinistra ha bocciato il ruolo dei genitori nel delicato settore dell’educazione sessuale a scuola; ma la famiglia, secondo l’articolo 29 della Costituzione (scritto da Nilde Jotti e Giuseppe Dossetti) è una realtà essenziale: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
In questo quadro convulso, una eventuale riforma elettorale dovrà consentire ai cittadini di scegliere la classe dirigente su precisi programmi, tra cui il rispetto di ogni persona, il rifiuto all’odio, la ricerca prioritaria del “bene comune”.
Per le Regioni, infine, va ripensato il loro ruolo, ponendo fine alla guerra intestina tra “ricchi e poveri” avviata dal ministro Calderoli. I Veneti non sono andati a votare come i Campani e i Pugliesi: nord e sud rigettano riforme di facciata e non chiedono la disunione nazionale.
Nei pochi mesi (forse 18) che ci separano dalle politiche è auspicabile il ritorno ad uno spirito costituente, nell’interesse del Paese, come chiede – senza timori – il Presidente Sergio Mattarella.


