(Editoriale)

Non era una certezza, ma non si era neppure lontani dal vederla diventare realtà nel giro delle poche ore o pochi giorni che sarebbero seguiti. Pensavamo che domenica 10 maggio si sarebbe potuti tornare a Messa, con tutte le precauzioni e le attenzioni necessarie. Così non è stato, e dovremo attendere fino al 24, fors’anche fino al 31 maggio.

Una delusione e un senso di amarezza, non certo dettati da un bigottismo che non ci appartiene, quanto piuttosto dalla consapevolezza che senza Eucaristia qualcosa manca nella vita di chi coltiva la propria fede e vuole che essa maturi. Non solo: la Chiesa è tale quando come comunità si raduna per vivere i sacramenti.

Chi detta legge avrebbe dovuto guardare ai luoghi di culto almeno con lo stesso occhio con il quale ha guardato a quelli autorizzati ad aprire e ad essere frequentati.

Gli spazi in una chiesa – e a questi ci atteniamo, perché tutto ciò che vi ruota attorno, dagli accessi al servizio d’ordine, dalla comunione in mano alla sanificazione dei locali, sono problematiche che comunque andranno affrontate, oggi o domani o dopodomani – sono maggiori e meglio aerati di quei 27 metri quadrati concessi a 13 persone su un bus. Ed è quello che vogliamo far rilevare alla pagina 6 del nostro giornale di oggi.

Non abbiamo mancato di scrivere, nelle settimane scorse, quanto fosse pesante la responsabilità gettata sulle spalle del cittadino con il tentativo – piuttosto ben riuscito – di colpevolizzarlo per i contagi. Dire che “la libertà di culto non è libertà di infettare la gente” è un ulteriore tentativo di colpevolizzazione insopportabile.

La mia libertà – di andare al supermercato, di fare sport o qualsiasi altra cosa – non è mai libertà di infettare qualcun altro. Mai, in alcun caso. Ovunque mi trovi e qualunque cosa io faccia. Perché allora si insinua che potrebbe esserlo andare a Messa?

Quali condizioni non ci sarebbero – in me o nel luogo – per essere così preoccupati di una Messa in pubblico, con il pieno rispetto degli spazi e delle regole, che invece ci sarebbero in un’attività o una presenza in un qualsiasi altro ambiente, dal mezzo pubblico al negozio?

Chi viaggia col treno ad Alta Velocità per diverse ore da Milano a Napoli, è da considerarsi fuori da questa logica della libertà – chissà perché, però –, oppure anche costoro sono da colpevolizzare perché hanno privilegiato la loro libertà alla salute propria e altrui?