Dieci anni fa, il 26 novembre, ci lasciava don Luigi Mazzucato, direttore per 53 anni della nota ONG CUAMM Medici con l’Africa.

Di come fosse arrivato a tale incarico raccontava: “A me è stato chiesto di svolgere questo servizio quando il Vescovo Bortignon, al quale avevo promesso filiale rispetto ed obbedienza, decise di mandarmi, alla fine di agosto del 1955, a dirigere il Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari, a cui sinceramente non avevo mai pensato”.

In don Luigi colpisce l’umile obbedienza che ha caratterizzato la sua figura. Obbedire significa innanzitutto “prestare ascolto” e successivamente “essere sottomesso”, quale atto consapevole della coscienza.

Dopo l’obbedienza al suo vescovo, don Luigi ha obbedito alla sfida del Concilio, attraverso un’opera segno ancor oggi di “gaudium” (gioia) e “spes” (speranza), nelle situazioni più drammatiche e difficili. Ha esercitato una particolare obbedienza alle persone a lui affidate, che spesso sceglieva o che le circostanze lo portavano ad accompagnare. Non dimenticava mai di fare gli auguri di buon compleanno e mostrare paterna attenzione alle nascite dei bambini nelle famiglie “in missione”, le “sue” famiglie.

La sua più grande obbedienza è stata ai segni dei tempi. Le sfide erano per lui l’invito di Dio a donarsi tutto per costruire un mondo più giusto attraverso un servizio di carità in cui ha coinvolto tantissime persone, permettendo loro di compiere quella “rara vocazione” che aveva invaso tanti cuori giovani.

L’obbedienza più limpida è stata alla Provvidenza. Nelle situazioni più difficili non si perdeva mai d’animo. Anzi, questa fiducia lo rendeva audace nel chiedere a molti di dare più del possibile, di lasciare le proprie sicurezze e una certa agiatezza. Sapeva bene che il suo “Parón” avrebbe provveduto.

L’obbedienza più commovente fu certamente quella di fronte al grido del povero, dei poveri concreti, che diventavano fratelli e sorelle non appena a lui si rivolgevano, attraverso vescovi, governi o circostanze strane, per avere un aiuto.

Quando ricevette da tanti suoi amici l’ultimo saluto nel Duomo di Padova in quel triste e glorioso 29 novembre 2015, sulla bara in legno chiaro, c’erano il vangelo aperto, cioè meditato e vissuto, ed una rosa bianca, segno di un amore limpido e vero.

“L’uomo che ascolta potrà parlare sempre” (Prov. 21, 28)