Nel 1337 la popolazione di Ivrea era di 5196 abitanti. Le cronache raccontano anche che in città sono esistiti nel tempo (dal 1344 la prima relazione conosciuta) dieci ospedali: nove nelle zone pianeggianti di Ivrea e uno (si proprio solo uno e solo dal 1748…) accanto all’odierno. “Naturalmente non erano tutti ospedali per infermi: ciò farebbe pensare che tutta la popolazione di Ivrea fosse malata – spiegava don Ilo Vignono nel suo “I dieci ospedali di Ivrea – Appunti di storia ospedaliera di Ivrea” (edito nel 1964 dalla Società accademica di storia e arte canavesana) -. Alcuni erano ospedali per pellegrini e forestieri (cioè ‘xenodochii’, come venivano designati in antico), altri per i poveri (‘ptochii’), e altri ancora, che sono gli antenati dei moderni ospedali, erano destinati per i veri malati”.
L’attuale Ospedale civico nacque con Adriano Olivetti sindaco di Ivrea: il 4 novembre 1956 fu infatti inaugurato l’edificio che vediamo ancora oggi, seppure con molte trasformazioni e aggiunte successive. Il Canavese intero si era adoperato con una raccolta fondi “dal basso” che non ha eguali. Progettato dall’architetto milanese Ignazio Gardella, era sorto accanto a quello eretto nel 1748 e anche il nuovo – che ai tempi fu definito il più moderno ospedale pubblico d’Italia – rispondeva al concetto di “poter essere raggiunto a piedi dagli abitanti”.

Qualche giorno fa ho dovuto accompagnare il mio anziano padre ad una visita a Chivasso e sono passato dal nuovo ingresso adiacente un grande parcheggio. La nuova ala è stata inaugurata poco tempo fa in gennaio di quest’anno. L’ampliamento di questo ospedale è stato “facile”: Chivasso è in piano. Abbiamo percorso un tunnel avveniristico, tant’è che mio padre mi ha chiesto se eravamo su un astronave. La visita è avvenuta addirittura in anticipo rispetto l’orario che avevo segnato sulla prenotazione. Vero poi che uscendo ci siamo persi nella giuntura tra il vecchio e il nuovo ospedale, ma siamo riusciti ad uscire a lato della sala mortuaria, così mio padre ha potuto leggere i manifesti degli ultimi decessi avvenuti… ed essendo, combinazione, tutti i defunti più anziani di lui, mi è apparso visibilmente sollevato.
Ma a parte questi dettagli, fin dall’inizio il fatto di dover andare a Chivasso è stato un respiro di sollievo, malgrado i 94 chilometri tra andare e tornare. Avrei trovato parcheggio alle 10.30 del mattino nei pressi dell’ospedale di Ivrea? Potevo fidarmi a lasciare mio padre da solo nell’atrio mentre io con l’auto andavo a cercare un parcheggio e quindi tornare a piedi in ospedale?
Comunque, il panorama di cui si gode dall’Ospedale di Ivrea è impagabile e quelli di Chivasso se lo sognano. Per trovare altri punti di interesse nella struttura chivassese, mi riprometto comunque di andare a cercarmi il contributo di Giovanni Renato Bettica, “Gli Antichi Ospedali di Chivasso”: venne pubblicato negli Atti del 1° Congresso Europeo di Storia Ospedaliera nel 1960.

Fabrizio Dassano