Chi sono i diaconi permanenti? Quale compito hanno all’interno della chiesa? Quale percorso intraprendono per poter essere “ordinati”? Erano tutte domande che lungo il mio percorso verso il diaconato trovavano una risposta nel presente che vivevo. Sposato da dieci anni, padre di tre figli, operaio in un’azienda (la Olivetti Personal Computer, che di lì a breve sarebbe fallita lasciando a casa più di mille padri e madri di famiglia). Quello era ancora il tempo nel quale c’era rimedio a tutto, anche alla chiusura di una fabbrica storica come quella di Scarmagno: ciononostante, la mia vita da quel momento mi impose di cercare nuove soluzioni lavorative, costringendo la frequentazione della scuola di teologia a subire qualche interruzione.

Lo studio della teologia è un po’ la conseguenza della vita che vivi tutti i giorni in famiglia, nella tua comunità parrocchiale, sul lavoro. Mi ricordo che dopo due mesi che Olivetti PC aveva chiuso ero stato chiamato a lavorare alla UPM di Fulchir, con gli ultimi tornitori dell’officina H. Per tutto il giorno i torni giravano e avevamo le mani sporche di olio, ma ciò non impediva la
preghiera con il Rosario recitato, contando con le dita. In quel periodo non ho mai perso né lavoro né speranza. Il Signore ad ogni mio passo spianava la strada. Mia moglie e i miei figli in quel periodo mi sono stati particolarmente vicini tanto che anche mia moglie incominciava a fare catechismo, a partecipare all’estate ragazzi di Settimo Rottaro. Tutte cose che mi davano una forza incredibile. Anche quando l’ultima azienda in cui lavoravo fallì: mi si presentò allora l’opportunità di fare il corso da OSS, e vi assicuro che è stato il lavoro più soddisfacente che avessi fino a quel momento svolto. E intanto gli studi teologici riprendevano con il corso triennale che la diocesi aveva organizzato.

La “Comunità Arcobaleno” a Chiaverano è stato il luogo dove ho capito cosa significhi prendersi cura di chi è nella sofferenza a 360 gradi. Gli operatori si chinavano su quelle persone come un padre e una madre si chinano verso i propri figli che hanno bisogno di essere presi per mano. E visto che anche io sono figlio, sono stato preso per mano da tanti Padri: in primis il vescovo Arrigo che, attraverso don Arnaldo, mi portò alla Casa del Clero di Ivrea. Ho sperimentato la vicinanza di tanti Padri nelle gioie, ma anche nel dolore della morte di mia moglie: l’abbraccio che ho ricevuto allora è stato grande, tuttora presente.

E allora torniamo alle domande iniziali, chi sono i diaconi permanenti? Sicuramente ministri ordinati.
A Saluzzo sabato 22 settembre si è svolto il primo incontro regionale dei diaconi permanenti. Una definizione che emergeva in quell’incontro era che i diaconi sono ponti fra il mondo laicale e il mondo clericale. Quel ponte è il Signore che lo costruisce. Cosicché non ci deve essere troppa smania del fare. Il diacono non “fa” il diacono, ma “è” diacono. Non è diacono per se, ma per la Chiesa.
Per quanto riguarda il percorso, guardando il mio, posso dire questo: la chiamata al diaconato è una chiamata che ci fa Dio e per questo percorre sentieri tracciati dalla Chiesa ma anche altri molto personali. Mia moglie e i miei figli sono stati una grande parte di quel percorso. Dove c’è amore, l’amore di Dio ci scalda il cuore, ci coglie nello sguardo e ci fa vedere nuove tutte le cose.

diacono MarcoFlorio