(Susanna Porrino)

La visione moderna del romanticismo è ben espressa da una frase del dialogo finale di Dawson’s Creek, serie televisiva di culto per gli adolescenti degli anni ’90: “Ti lascio libera. Il solo fatto di amarti è abbastanza per me”.

La relazione tra Pacey e Joey, i protagonisti del dialogo, può essere considerata esemplare perché si mostra straordinariamente standardizzata: alternativamente insieme, da soli e poi nuovamente insieme, in un ciclo di che sembra trasformare l’altro individuo, con le sue emozioni e quelle di tutti coloro che entrano a far parte dello stesso circolo, in un prodotto usa e getta. La frase di Pacey sintetizza perfettamente questo aspetto: egli può continuare ad amarla indipendentemente dalla propria relazione con lei, perché il suo amore non necessita di conoscenza né di contatto.

L’amore certamente presuppone, almeno all’inizio, una spinta individuale che non necessita di essere corrisposta, ma nel suo sviluppo insegue il desiderio paradossale di spendere una parte di sé per una persona diversa da noi. Non vi è reale affetto né rispetto nella resa, al termine di un viaggio in cui da entrambe le parti l’amore è stato ridotto al minimo sforzo per preservare esclusivamente la felicità del singolo.

Eppure, Dawson’s Creek è l’ottimo esempio a cui guardare per capire i presupposti su cui si modella tutta la narrativa cinematografica contemporanea a proposito dell’amore e delle relazioni, basata sul continuo tentativo di bilanciare l’individualismo moderno e la scomoda constatazione che per amare occorre essere in numero diverso da uno. Il risultato a cui si è giunti è stato il susseguirsi di continue rappresentazioni di amori a metà, prigionieri tra il desiderio di stare insieme e quello di non scegliersi mai definitivamente, in cui neanche la dignità e la felicità individuale, così avidamente protetta nelle intenzioni dei personaggi, riesce ad arrivare al termine del percorso intatta: ogni essere umano desidera sentirsi scelto e prezioso agli occhi di un altro, e l’anima dei personaggi rappresentati in questi racconti, ferita dalle proprie non-scelte e dalla consapevolezza di non essere mai stata accolta pienamente e nella sua interezza, arriva alla fine sgualcita e sfiancata, incapace di amare ancora e al tempo stesso spaventata all’idea di lasciare andare un’ossessione da tempo alimentata.

Non c’è nulla di problematico nell’idea moderna che vuole anche la tutela della dignità e del benessere individuale nel rapporto con l’altro; ma c’è qualcosa di problematico in una realtà mediatica che sa rappresentare solo un romanticismo vuoto e fine a sé stesso, basato su una presunta poeticità che nella maggior parte dei casi nasconde amori ed affetti egoistici e dannosi.

A tutti i livelli, non soltanto quello romantico, occorre che come società riacquistiamo la consapevolezza che sentimenti come il rispetto, l’amore e l’affetto per l’altro sono realtà che si sviluppano necessariamente nella dinamicità di relazioni vive, e che ci chiedono continuamente di riconoscere e proteggere il valore di chi ci circonda; nessuna di esse è presente in una relazione che non conosca la concretezza dell’impegno, la necessità di una scelta chiara che si ripeta continuamente, il desiderio di preservare le emozioni e la sensibilità altrui.

Abbiamo imparato a romanticizzare situazioni tossiche che funzionano molto bene dietro gli schermi, e che, in un qualche modo, aiutano a dimenticare che amare significa scegliere di rinunciare alle infinite altre opzioni a cui potremmo accedere.

Forse dimentichiamo che ciò che nella storia dell’uomo ha reso preziose le relazioni e le vite degli esseri umani sono state le passioni vive, in grado di portare al sacrificio di tempo ed energie investite in un bene percepito come più grande.

Se prendere una direzione è difficile, scegliere di apprezzarle tutte da lontano è un inganno; e sarebbe bello che la società moderna, abituata a muoversi intimorita dal costante pensiero della vastità delle opzioni tra cui selezionare i gradini della propria vita e dai rischi che ognuna di esse comporta, ricominciasse a rendere anche questo parte delle proprie storie.