(Mario Berardi)

La politica estera è al primo posto dell’agenda del premier, dopo la catastrofe afgana. Draghi è impegnato a promuovere un G20 con tutte le potenze mondiali, comprese Cina, India, Russia, nella convinzione che il vuoto tragicamente lasciato dagli Stati Uniti e dall’Occidente possa essere colmato soltanto da una nuova collaborazione tra tutti i protagonisti della crisi, dal neo-isolazionismo di Trump e Biden all’interventismo di Xi e Putin, senza trascurare la sostanziale assenza di Bruxelles.

Con questa sfida l’Italia assume un ruolo internazionale di primo piano, difficile, rischioso, ma necessario, essendo in gioco la pacificazione della martoriata regione islamica, la lotta al terrorismo, la solidarietà verso tutte le popolazioni, compresa l’apertura di corridoi umanitari.

Sul tema dell’accoglienza il Governo ha ottenuto un forte sostegno dal Presidente Sergio Mattarella che, parlando a Ventotene in ricordo del manifesto europeista di Altiero Spinelli, ha rilanciato a Bruxelles l’obbligo morale della solidarietà verso le popolazioni martoriate da vent’anni di conflitto, chiedendo fatti, non parole. Certamente il Capo dello Stato si riferiva ai Paesi contrari all’immigrazione afghana (Ungheria, Austria, Slovenia), ma indirettamente è emerso un richiamo alle forze politiche “sovraniste”: la Meloni ha condiviso da Roma il “no” all’immigrazione, in un incontro con il premier ungherese Orban; Salvini ha dapprima chiesto un “tetto”, poi mitigato, anche per la fronda interna al suo partito, dal ministro Giorgetti ai Governatori Fedriga e Zaia (insieme all’aperto dissenso delle ministre di Forza Italia, Carfagna e Gelmini, solidali sull’immigrazione con la ministra dell’Interno Lamorgese).

Si intrecciano politica estera e interna, anche per le scadenze della campagna elettorale per le amministrative, rendendo più difficile il cammino del Governo che, entro l’anno, secondo gli accordi con Bruxelles, deve varare la riforma della giustizia, del fisco, della concorrenza e il bilancio statale 2022. Diversi ministri temono i tempi ristretti, anche per l’emergere di nuovi conflitti sul reddito di cittadinanza e sui rapporti Confindustria-sindacati, senza dimenticare le nuove tensioni con i no-vax, no-pass, con un preoccupante ritorno a nuove forme di violenza contro polizia, giornalisti, virologi…

I partiti – com’è emerso a Rimini al confronto promosso dal meeting di Comunione e Liberazione – sembrano procedere in totale autonomia, anche all’interno delle coalizioni. La concorrenza a destra tra Salvini e la Meloni è quotidiana: dalla sfiducia alla ministra dell’Interno alle dimissioni del sottosegretario leghista Durigon, colpevole di un grave affronto ai magistrati Falcone e Borsellino insieme a un’incredibile nostalgia per la famiglia Mussolini. Per frenare la Meloni, la Lega e Forza Italia stanno accelerando per la Federazione, tra i timori di molti “azzurri” di essere egemonizzati.

Nel centro-sinistra i toni sono più soft, ma la concorrenza per la leadership tra Conte e Letta è palese: l’ex premier, diversamente dal Pd, non nasconde le critiche al governo Draghi, dalla giustizia alla politica verso i Talebani; la stessa alleanza di centro-sinistra appare una scelta di necessità, non strategica.

Enrico Letta ha problemi interni al partito: diversi esponenti non hanno condiviso la scelta del segretario di correre a Siena per la Camera senza il simbolo dei Dem; ma la critica più forte è giunta, dalle colonne di “Avvenire”, da un esponente di primo piano dei Prodiani, l’on. Franco Monaco, con la forte richiesta di cambiare la linea sui temi etici, dal ddl Zan sull’omotransfobia al delicatissimo tema dell’eutanasia. L’autorevole rappresentante della componente ulivista confessa “un personale disagio a fronte dell’acuirsi di una deriva culturale della sinistra in chiave individualistico-radicale. Una visione che trova riscontro in due circostanze: l’enfasi posta sui diritti civili a scapito dei diritti sociali e del lavoro; la concezione stessa dei diritti civili riduttivamente intesi come meri diritti individuali”. Monaco s’interroga su “dove rinvenire oggi traccia della grande tradizione della sinistra sociale cristiana e se non vi sia una relazione tra la sua latenza (eclisse?) e l’impoverimento della sinistra tutta”.

Sui temi etici il dibattito in Parlamento slitta a ottobre, dopo il voto; ma il referendum radicale sull’eutanasia (abolizione del reato di omicidio del consenziente, tranne i minori e i malati psichici) già allarma molti giuristi, tra cui il prof. Flick, che temono gravissime conseguenze sull’ordinamento penale e, quindi, sulla vita sociale. Alle Camere l’ultima parola, prima dell’avventura referendaria.