Maggio è ricco di appuntamenti che in un modo o nell’altro hanno al centro l’informazione. Il festival della TV e dei nuovi media a Dogliani, la giornata mondiale della libertà di stampa, entrambe all’inizio del mese e domenica prossima ricorre la 52esima Giornata delle Comunicazioni Sociali. Nacque nel 1963 con un decreto del Concilio Vaticano II.
Una cosa che sa di Chiesa, relegata troppo all’ambito ecclesiale, alla quale si fa attenzione –ma si potrebbe far molto meglio – per un troppo limitato periodo di tempo. Difficile sentirne parlare sui grandi mezzi di informazione, forse solo ad ora tarda della notte in TV e radio o in pagine molto discrete della carta stampata di grande tiratura. Magari a gennaio si spendono due parole in più, perché in quel periodo il Papa è solito scrivere il suo messaggio che dà la nota giusta alla giornata, celebrata poi a maggio. Se il tema è punzecchiante o si intravvede la possibilità di ricavarne qualche scoop o farne una lettura “sui generis” tale da carpire la curiosità oltremodo degli ascoltatori o dei lettori, magari il tema resta sulla cresta dell’onda qualche giorno in più. Altrimenti decade, inesorabilmente.
Il Papa ha intitolato il suo messaggio per la giornata 2018 “La verità di farà liberi. Fake news e giornalismo di pace”. In altri termini le fake news (cioè le notizie false) sono un problema e la mancanza di verità alza il rischio di allontanare la pace dai nostri ambienti abituali; dalla casa alla scuola, dal lavoro al divertimento.

Ci permettiamo di suggerire la lettura del messaggio del Papa – che non è indirizzato solo a coloro che con l’informazione hanno a che fare tutti i giorni perché ci lavorano – perché il tema coinvolge tutta la comunità. E non penso alla comunità in senso stretto, cioè quella ecclesiale, dei movimenti, delle associazioni, gli oratori, le congregazioni eccetera, eccetera…
Penso all’insieme della società civile che con le fake news, la verità e la pace si confronta ogni giorno e che l’informazione – anche nel senso più ampio- la incontra ad ogni piè sospinto, ne fa uso, ne è attore, spettatore e vittima. Le fake news non sono un’invenzione di oggi, non sono affiorate oggi, sono sempre esistite. Circolavano meno, erano meno appariscenti, entravano meno nel nostro quotidiano perché non c’erano i mezzi veloci della diffusione odierna. La rete.
Già, la rete. Al suo posto c’era il “tempo della riflessione”. Senza la rete il ritmo era più basso, si riusciva a fare più attenzione e le “bufale” era più facile intercettarle e respingerle. La tanta sicurezza che pare abbiamo acquisito oggi, paradossalmente, ci rende più vulnerabili alle false notizie. Le fake news sono un problema che la nostra diffusa fiducia nel ritenere di saperle riconoscere contribuisce a rendere ancora più grave, come riferiscono alcuni studi recenti. E perché mai saremmo così capaci di identificarle? Per due ragioni.
Anzitutto, perché tutti siamo diventati “giornalisti” potendo scrivere qualunque cosa sui social, a tal punto che c’è chi parla – erroneamente a mio avviso – di “giornalismo partecipativo”. Il giornalismo è e resta ben altra cosa. Per cui diamo per scontato che se scriviamo tanto sui social siamo automaticamente capaci di connotare quel mezzo e valutare ciò che propaga. Purtroppo non basta. Sarebbe troppo facile, dinanzi a tante luci ed ombre che i social si portano appresso.
L’altra ragione è perché c’è chi – in maniera più o meno consapevole- ha pubblicato o condiviso notizie che proprio vere non erano. Lo dicono gli studi in materia. A questo punto dovrebbe essere molto chiaro che la giornata delle Comunicazioni Sociali, come tutte quelle altre occasioni in cui c’entra l’informazione, non è più una giornata per gli addetti ai lavori, i giornalisti e operatori dei media.
Se, come scrive il Papa nel suo messaggio, abbiamo bisogno di “un giornalismo senza infingimenti” e cioè di giornalisti “autentici”, dall’altra parte abbiamo bisogno di lettori e fruitori dell’informazione all’altezza della modernità dei contenuti proposti, del linguaggio e degli strumenti usati.
Il giornalismo deve migliorare (deve essere ostile alle falsità, a dichiarazioni roboanti che bruciano le notizie, impegnato ad indicare delle soluzioni alternative all’escalation del clamore e della violenza verbale – come scrive Papa Francesco) e quindi devono migliorare i giornalisti nel loro lavoro, ma devono migliorare e crescere anche i fruitori, più esigenti verso tutto il mondo dell’informazione ma più esigenti anche verso se stessi.
Come? Esattamente come nella riscrittura della preghiera francescana, ora in chiave “comunicazione” che ne ha fatto il Papa, pubblicata alla fine della sua lettera e già pubblicata anche sul nostro giornale, giovedi scorso a conclusione del messaggio del vescovo Sacchi, delegato per la CEP alla comunicazione. Non è indicata solo per i giornalisti e per chi è addetto al mondo dei media.
E’ anche per chi legge i giornali e usa i social, ci scrive sopra, legge e commenta, pubblica foto, ascolta musica, guarda e pubblica i video, cerca e trova nuovi contatti e nuove amicizie. Solo così si chiude il cerchio e si diventa tutti – nelle forme più diverse secondo ciascuna realtà e nell’ambito proprio delle responsabilità di ognuno – operatori di pace e ricercatori della verità.

Carlo Maria Zorzi

Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una
comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole
siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen!