Le imprese artigiane, più delle altre, si trovano a dover fronteggiare un nemico comune come l’abusivismo. Sulla base degli ultimi dati disponibili sui conti nazionali, nel 2015 sono 3 milioni e 724 mila le “unità di lavoro equivalenti non regolari”, occupate in prevalenza (2 milioni e 651mila, pari al 71,2%) come dipendenti, a cui si aggiunge 1 milione e 72mila unità di lavoro indipendenti non regolari (28,8%). Si conta 1 occupato indipendente non regolare ogni 5,7% indipendenti regolari.

La diversa composizione settoriale dell’artigianato sui territori determina una variabilità della quota di imprese artigiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale del sommerso. A fronte di una quota dell’artigianato totale pari in media nazionale al 64,7%, si tocca il valore massimo del 72,8% in Liguria, mentre il Piemonte con il 65,8% si colloca all’8° posto della classifica regionale per quanto concerne la quota di imprese artigiane maggiormente esposte all’abusivismo.

A livello provinciale il valore massimo relativo all’esposizione alla concorrenza sleale del sommesso si registra a Imperia (74,4%). Anche Torino (66,9%), Vercelli (66,6%), Asti (65,6%), Cuneo (65,1%) sono superiori alla media nazionale (64,7%) per quanto riguarda l’esposizione alla concorrenza sleale del sommesso, mentre Verbania e Novara (64,5%) e Biella (62,9%) si posizionano al di sotto della media nazionale.

Per quanto riguarda, invece, la consistenza artigiane delle imprese maggiormente esposte alla concorrenza sleale del sommerso per i comparti e la loro composizione settoriale vediamo che per il Piemonte i settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale sono quelli delle costruzioni (63,6%); servizi alla persona (20,2%), trasporti e magazzinaggio (8,5%), mentre la percentuale scende per i servizi di alloggio e ristorazione (4,4%), servizi di informazione e comunicazione (1,4%), agricoltura (1,0%), fabbricazione di mezzi di trasporto (0,5%), istruzione (0,2%), fabbricazione di prodotti chimici (0,2%), industria estrattiva (0,1%).

“L’abusivismo e il lavoro nero rappresentano un fenomeno che colpisce l’economia, i consumatori e mina alle radici l’artigianato, soprattutto il comparto edile e i servizi alla persona come le parrucchiere, estetiste, ecc. – commenta Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Piemonte –. E’ l’espressione di una economia irregolare alimentata anche dalla forte crisi e dal ristagno produttivo. Ma l’abusivismo non significa solo minor reddito per gli imprenditori onesti, ma anche migliaia di posti di lavoro in meno per i nostri giovani, ricchezza che alimenta organizzazioni malavitose, rischi per la salute e riduzione delle entrate fiscali che poi devono essere compensate dai contribuenti onesti. Ciò costituisce inoltre l’ingiustificato alibi che la politica utilizza per vessare le imprese artigiane con adempimenti sempre più onerosi e demenziali”