(Fabrizio Dassano)

Il mio ex vicino sperduto in qualche ignota località del Canavese rurale, mi ha spedito proprio ieri una missiva lamentandosi principalmente del fatto che le galline non fanno ancora le uova. Poi ha attaccato discorso sul fatto che non c’è più la gentilezza di un tempo. Secondo lui sono stati tutti trasformati in agenti della sicurezza, che in tedesco suona proprio brutto: Sicherheitsdienst (Servizio di Sicurezza). Dice che deve sempre tener pronto il lasciapassare verde appena entra al bar o va in qualche ufficio.

Della tessera verde mi ha fornito l’altrettanto sinistra traduzione in tedesco: Grünes Passdokument. Il problema suo è quello che non lo ha sullo smartphone, per il semplice fatto che è uno di quei pochi che non si porta il cellulare appresso. Quando era più giovane, per lavoro gli avevano dato un telefonino, ma lui terrorizzato dalle onde “ionizzantransphonoaudiolari” lo teneva in valigetta avvolto in tre strati di carta da forno e sei di pellicola d’alluminio, dentro ad una vecchia scatola di sigari cubani. Poco tempo dopo perse il lavoro perché non rispondeva mai all’apparecchio.

Il suo passaporto verde se lo è fatto stampare da un patronato e lo ha avvolto in una busta di nylon che non gli entra da nessuna parte. Non nel portafogli, non nella tasca della giacca, nemmeno in quella dei pantaloni, così va in giro con questa busta di nylon spessa, scomoda in una maniera tremenda.

Essendo egli da sempre un attento discepolo e cultore del dottor Paolo Mantegazza (famoso fisiologo, patologo, igienista, neurologo, antropologo e scrittore ottocentesco), si sarebbe – sempre a suo dire – molto evoluto negli studi sull’essere umano, facendosi addirittura apprezzare per via di qualche sua conferenza sul tema. Infatti egli narra nella sua missiva che non molto tempo fa venne chiamato in una lontana località a parlare del pensiero mantegazziano con una conferenza dal titolo “L’arte di campar vecchi” (non proprio una novità visto che l’argomento era stato affrontato dal Mantegazza nel 1878). Trovando da lagnarsi anche in quella circostanza, mi ha recapitato insieme alla lettera, la nota letta in conferenza.

Così inizia: “…Ed io direi, francamente che le vite umane sono così diverse tra di loro, da misurarsi assai male col solo metro del numero degli anni. Vi è una grande differenza fra un uovo e un guscio d’uovo, benché si rassomiglino tanto! Io però non voglio eludere il problema perché difficile, né voglio sfuggire per la scappatoia d’una citazione umoristica e d’uno scherzo. Anzi propongo il problema ingenuamente in questi termini: è meglio una vita intensa e breve, o una vita meno intensa e lunga? O in altri termini: vogliamo la vita corta ma buona o lunga ma mediocre? Un vecchio sano e vigoroso non lo si guarda soltanto con rispetto e riverenza, ma anche con invidia; e i molto vecchi son superbi di aver domato il tempo e talvolta hanno la civetteria di aggiungersi qualche anno, precisamente come quarant’anni prima avevano la civetteria di togliersene”.

A quel punto il nobile consesso riunito nella grande sala di quella cittadina ha iniziato a brontolare così forte che il direttore non ha potuto far altro che allontanarlo. All’uscita il direttore di quell’Accademia gli ha consegnato una busta, ove lui sperava almeno di trovare il biglietto ferroviario per ritornarsene nelle sue lande, ma invece del biglietto non c’era nulla se non la pubblicità di una nuova saponetta.

Tornato a casa indispettito, mi comunica di aver conservato la busta: la userà per tentare di pagare l’idraulico a cui deve ancora dei soldi.