(Fabrizio Dassano)

Terza ondata, tranquilli. Siamo a quota 100.000 morti. Ci vollero 12 battaglie dell’Isonzo tra il 1915 e il 1917 per capire che bisognava cambiare registro. Cioè che era abbastanza inutile andare all’assalto frontale alla baionetta davanti alle mitragliatrici austro-ungariche e trattare i nostri soldati come bestie. Ci volle la catastrofe dello sfondamento alla conca di Plezzo, meglio nota come battaglia di Caporetto.

Paolo Rumiz, lo scrittore triestino, ha detto ieri sera che forse bisogna ripensare il nostro sistema occidentale, forse bisogna cambiare registro. Il sistema d’attacco della circolare Cadorna – che era costato fino al 24 ottobre 1917 circa mezzo milione di Italiani morti (1 milione, calcolando anche le perdite degli avversari, Austriaci, Ungheresi, Rumeni, Bosniaci e gente della propria terra, Sloveni) – venne cambiato. Cadorna fu allontanato e Diaz cambiò sistema. Complice l’indebolimento strutturale dell’Isonzo Armee guidata da Svetozar Boroević, per l’esplosione delle nazionalità di quell’impero multietnico, nazionalità, religioni e bandiere diverse che emergevano con estrema facilità per via della fame che attanagliava gli imperi centrali.

Il mio ex vicino così mi ha descritto in tre pagine quello che gli sembra essere la situazione odierna. Io ho riassunto perché è sempre più prolisso, noioso e paranoico. Dice che un colpo di vento gli ha definitivamente messo fuori uso l’antenna della tv: l’unico canale visibile che gli è rimasto è un canale statale che parla solo di storia. La radio è al 98% fuori uso perché il condensatore variabile è bloccato, e collegando l’antenna al cerchione di un carro agricolo riesce a prendere solo il terzo canale della radio pubblica. E si vede.

Ha anche spiegato che ieri il gallo Fiume con le galline Arbra, Brengula, Zara e Pola si è portato a 300 metri dal pollaio in direzione sud in missione esplorativa nel prato antistante la casa. Pare che siano transitate delle pecore nottetempo. Il gallo Fiume dovrebbe aver ordinato alle sue galline una nuova missione esplorativa per rettificare i confini davanti al pollaio. Asserisce che il gallo gli ha non solo rivolto la parola, ma gli avrebbe anche chiesto, in ottimo italiano, una quadrella dell’Istituto Geo-grafico Militare 1:25.000 della zona.

Il campanile del paese in cui è nascosto da un anno ormai, si è rimesso a funzionare, ma pare solo in diurna, mentre con il primo confinamento suonava giorno e notte ad ogni ora. E – secondo il mio ex vicino – era più congeniale per organizzare i turni di guardia. Nella vecchia casa ha trovato in un armadio un binocolo “Fert” del regio esercito prodotto dalle Officine Galileo del 1939, binocolo che ha montato dietro la finestra del primo piano.

Passa il suo tempo scandito dal campanile ad osservare l’avanzata delle galline verso sud. Dice che presto le città si svuoteranno per la pandemia e le campagne saranno invase dagli sfollati che non riescono più a vivere negli appartamenti cittadini.

In questa visione apocalittica non mi viene altro in mente se non il caso recente della Turchia che riapre il monte Ararat, la vetta dove l’arca di Noè concluse il suo viaggio. L’ascesa sulla cima dove la leggenda vuole si sia arenata l’imbarcazione del patriarca biblico al termine del diluvio universale era chiusa dal 1984. Sacra ai curdi, è stata chiusa, con pochissime eccezioni, dal 1984 a causa del conflitto tra Ankara e il Pkk: spero che il mio ex vicino organizzi una spedizione alpinistica canavesana su quel 5.137 metri dopo aver attraversato il lago di Viverone con il cane Penny a bordo della sua barca.