La scorsa domenica 12 febbraio il Carnevale chivassese è entrato nel vivo: si è tenuta l’Investitura di Franco D’Aguanno, 68° Abbà dell’era contemporanea.

La figura dell’Abbà come alter ego maschile della Bela Tôlera risale al 1948, quando Matteo Cena affiancò Francesca Tonengo nelle feste carnevalesche.

Ma l’Abbà è una figura storica: risale al 1400, quando a Chivasso c’erano gli stolti”, compagnia di buontemponi che spaventavano vedove e zitelle e, talvolta, esigevano da esse anche un balzello.

Nel 1434 il parroco di allora, don Cresti, cercò di arginare questo scempio e convinse questi personaggi a trasformare la loro compagnia nella Confraternita di San Sebastiano, che fece realizzare la pala d’altare del martire presente in Duomo.

Nasce così la figura dell’Abbà che continuerà a gestire il Carnevale fino all’epoca napoleonica.

Nella Messa da lui presieduta, il vescovo monsignor Edoardo Cerrato ha ricordato che la parola Abbà significa Padre, e ciò vuol dire essere educatori e responsabili degli altri, trasmettere le belle tradizioni del passato (l’omelia è riportata in fondo all’articolo).

La solenne liturgia è stata animata dall’Accademia corale “Stefano Tempia” di Torino diretta da Luigi Cociglio, laureato al Conservatorio torinese e direttore artistico dall’ottobre 2021 della Corale stessa.

All’organo Luca Benedicti, laureato in organo e in composizione organistica e in musica corale al Conservatorio “Ghedini” di Cuneo. I brani proposti sono stati tratti dalla Missa Pontificalis Prima del 1897 di Lorenzo Perosi; l’entrata del corteo è stata sottolineata dalla Entrée Pontificale op. 104, n. 1 di Marco Enrico Bossi.

Al termine della liturgia, la choral-improvisation “Nun Dankte alle Gott” op. 65, n. 59 di Sigfrid Karg-Elert.

L’Abbà è giunto in chiesa accompagnato da ventiquattro rappresentanti del Magnifico Coro degli Abbà, dalle Bele Tôlere e da alcuni soci della Confraternita del Sambajon e dij Noasett; erano presenti la Società Filarmonica “Giuseppe Verdi”, titolare dell’inno dell’Abbà, e il gruppo degli Sbandieratori di San Damiano d’Asti.

Al termine della celebrazione eucaristica, l’Abbà si è affacciato al balcone della sede della Pro Chivasso L’Agricola, Palazzo Rubatto, per ricevere dal sindaco le chiavi della città e leggere ai cittadini il suo proclama.

OMELIA

Continuando quanto ho cercato di trasmettere come messaggio alla Città negli scorsi anni, vorrei fare ancora un passo nella riflessione che ci suggerisce l’investitura dell’Abbà, il cui stesso nome – Abbà significa Padre – è un richiamo essenziale per tutti noi che abbiamo, in diversi ambiti, la responsabilità di essere educatori: il compito di indicare la strada e guidare il cammino, di assistere e sostenere chi, a vario titolo, ci è affidato…

La più bella definizione di educazione che io conosca è quella che Dante dà quando dice di Virgilio: “E poi che la sua mano alla mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro alle segrete cose” (Inf. III).

Non è pessimismo constatare che viviamo in tempi scuri, in una mezzanotte dello spirito in cui si infrangono le certezze più elementari, dove il vero e il non vero s’intrecciano e si annullano, dove le emozioni passeggere prendono il sopravvento sulla ragione…

Abbiamo bisogno di guide che ci aiutino a vedere ciò che è ovvio; di uomini che sappiano guardare e credere a ciò che vedono, e dire albero all’albero, uomo all’uomo, donna alla donna, vita alla vita, morte alla morte.

Dobbiamoaccostarci a chi questo coraggio oggi ce l’ha o cercare chi nel passato l’ha avutomostrandoci un uso più profondamente umano della ragione.

Le “segrete cose” non sono dei “rebus” inesplicabili, ma il senso profondo del vivere e del morire, il senso di ciò che sta prima e di ciò che sta dopo la nostra vicenda terrena, di ciò che ci attende quando il cammino terreno finisce…

Non vi sembri stonato se parlo di questo nel Carnevale che è un momento di allegra festa: è proprio questa allegra festa che ci induce a pensare al fatto che essa, come tutte le altre cose della vita, finisce…

La nostra società secolarizzatanon ama sentire discorsi di questo tipo, benché la realtà ponga continuamentedavanti ai nostri occhi devastanti immagini di morte (dalla pandemiadegli scorsi anni alla odierna guerra in Ucraina fino ai terremoti e allecatastrofi dei giorni scorsi…).

Leggevo in questi giorni, in un recentissimo libro: con la fine – sintetizzo – bisogna fare i conti fino in fondo, poiché accettare la sfida della morte vuol dire iniziare a pensare.

Avere chiaro davanti a sé il limite dei giorni porta a viverli con consapevolezza, a gustare la vita con pienezza; a vivere cioè il tempo che ci è dato, coinvolti il più possibile nelle relazioni, negli affetti, nell’amore e nell’amicizia; significa aggiungere vita ai giorni…

È questa l’intensità dei giorni dell’uomo!

Ma, nell’oscurità e nella confusione che caratterizza il nostro tempo, per far questo abbiamo bisogno di guide sagge, di padri e di madri, non di adulti rimasti adolescenti in età matura, di “bamboccioni” direbbe qualcuno…

questo in tutti gli ambiti della vita sociale come di quella ecclesiale…

Qual è la proposta cristiana a chi sa e sente di dover essere padre, madre, guida, educatore, adulto: in una parola, responsabile e maturo?

Quel che abbiamo ascoltato fino a questo momento nella Messa ce lo presenta chiaramente.

La Messa di oggi si apre con una dichiarazione su cui merita riflettere: “Tu,Signore, sei mia roccia e mia fortezza: guidami per amore del tuo nome”(Sal 30).

Un sentimentale l’uomo credente che dice questo?

Facciamoci almeno una domanda: l’universo è nato per caso e dal caso, o c’è un Progettista di tutta questa intelligente “macchina” che noi non finiamo di scrutare per comprenderne il segreto?

Di tutto l’universo, quindi anche dell’essere umano?

La nostra scienza è un assoluto?

Mettere alla base dei nostri pensieri l’esistenza di Dio non è irrazionale.

È una ragionevole ipotesi di lavoro – per lo meno ipotesi di lavoro – con cui verificare se la nostra vita funziona meglio basandosi su di essa o basandosi su altre ipotesi…

“Guidami!” chiede a Dio l’uomo credente e nella I Lettura (Sir 15,16-21) risuona la risposta: “Se vuoi osservare i comandamenti di Dio, essi ti custodiranno e tu vivrai.

Dio ti ha posto davanti fuoco e acqua: tendi la tua mano dove vuoi. Davanti agli uomini stanno la vota e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”.

È “una sapienza – ci ha detto san Paolo nella II Lettura (1 Cor 2,6-10) – che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla… È la sapienza di Dio”.

Vogliamo provare a verificare gli esiti di questa sapienza nella nostra vita di singoli e in quella della società umana?

E Gesù, nel Vangelo (Mt 5, 17-37), dice: “Io vi dico la verità: non passerà una sola virgola o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.

Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Grande invece chi li osserverà e li insegnerà”.

Carissimo Abbà, tu sei – lo comprenda o no la società di oggi – il segno che anche il Carnevale, nato nell’alveo del cristianesimo, c’entra con Dio! Sei il richiamo, anche con la tua divisa che ti fa riconoscere in mezzo agli altri, che i punti di riferimento ci devono essere!

Il mio augurio è che molti, se non tutti, pensino almeno a questo: che il Carnevale è festa, ma la festa induce anche a riflettere sul senso della vita, su ciò che siamo e su ciò che per natura creata da Dio siamo chiamati ad essere!

Diamo spazio alla sana ragione: alla ragione “aperta” che non si lascia rinchiudere nei limiti della visione puramente empirica delle scienze ma che è capace di più ampia riflessione sull’umano, sulla filosofia e sulla morale, sul senso della vita e della morte, sulla trascendenza e su Dio…; al contrario della ragione “chiusa” che “assomiglia diceva Papa Benedetto agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli” e alla fine l’uomo ne risulta soffocato, e il rapporto con la natura guidato dalla sola dinamica del potere della tecnica, che diventa distruttivo.

† Edoardo, vescovo

 

Franca Sarasso

Redazione Web