Venerdì 17 marzo all’oratorio Carletti di Chivasso e all’oratorio San Michele di Rivarolo si sono tenuti due incontri formativi organizzati da don Valerio D’Amico, responsabile dell’Ufficio Catechistico diocesano, e intitolati “Annunciare la fede in un linguaggio comprensibile”.

A tenerli è stato da don Gianfranco Calabrese, professore di Catechetica e di Teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma e presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e Vicario episcopale per l’annuncio del Vangelo e la missionarietà dell’Arcidiocesi di Genova.

Il relatore ha esordito invitando a vivere il culto nella nostra vita, quindi, a far calare nella quotidianità il Mistero celebrato nell’Eucaristia per rendere il linguaggio della nostra catechesi autentico frutto di una esistenza che rispecchia il Vangelo.

Non una fede puramente cultuale”, certo, ma un divenire cristiano nella nostra esistenza di ogni giorno, incarnato nella nostra anima.

Quando Gesù muore sulla Croce il velo del Tempio si squarcia e questo significa che la nostra vita deve diventare una offerta unita al sacrificio di Cristo.

Il Sacramento non è semplicemente partecipare alla Messa, ma deve diventare un vivere da cristiani, quindi, vivere la Comunione, l’Eucaristia, il rendimento di grazie, l’esistenza come un dono d’amore verso il prossimo.

La catechesi è, quindi, un annuncio della fede che nasce innanzitutto da un incontro con il Signore Gesù, il primo comunicatore per eccellenza.

Si comunica ciò che si è”, e questo, in una società dell’immagine, implica il fare attenzione alla comunicazione verbale e a quella non verbale: “il primo linguaggio è il catechista con il suo comportamento, con la sua voce”.

Per creare relazioni significative è molto importante allora l’accoglienza, il creare un ambiente, dunque, il linguaggio non verbale.

È necessario poi parlare di più linguaggi, perché sono diversi gli interlocutori (bambini, ragazzi, giovani) e “le stesse parole hanno talora un significato differente in base all’ascoltatore”.

Il linguaggio è dunque ondamentale: sull’efficacia della comunicazione si gioca l’annuncio e l’evangelizzazione nel terzo millennio.

Dobbiamo lasciarci interpellare dalle domande esistenziali della gente e che il nostro linguaggio “comunichi”, cioè introduca all’incontro con il Signore.

Occorre comunicare “trasmettendo”, non con un monologo ma creando un dialogo, per riconoscere nell’altro il divino che c’è in me.

La nostra società è cambiata ma noi rischiamo di utilizzare sempre lo stesso linguaggio per trasmettere i contenuti della fede.

Se noi per primi non comprendiamo che cosa è l’Eucaristia, che cos’è la Riconciliazione, non possiamo farle conoscere nella loro profondità.

Occorre allora approfondire la Rivelazione, la dottrina della Chiesa, perché quanto più si conosce la Parola della Bibbia quanto più si è in grado di farla conoscere nel linguaggio corrente, senza banalizzarne i contenuti.

Nella Bibbia ci sono tanti linguaggi, che siamo chiamati a conoscere comunicare nel loro contenuto – don Calabrese ha spiegato diversi termini biblici partendo dal greco per dimostrarne il significato profondo – per entrare nel mistero di Dio riuscendo a “vedere, sognare, entrare nella realtà biblica”.

Importante è la “narrazione” della Bibbia nel modo adatto: restare fedeli alla dottrina ma “conoscere il contenuto”, capire l’essenziale e tradurlo con un linguaggio comprensibile, usare termini semplici per dire insegnamenti complessi, in un processo di inculturazione.

Gesù stesso insegna attraverso le parabole, attraverso paragoni con la realtà quotidiana: così noi dobbiamo educare i giovani con un linguaggio a loro familiare, utilizzando le loro parole (“campo, navigare…”) per introdurli nel mistero di Cristo anche mediante delle “immagini” con le parole.

La catechesi senza linguaggi è priva di contenuto, ma necessita di “esperienza” senza la quale resta parola.

Non a caso, infatti, dal fare catechismo si è passati ad una Iniziazione Cristiana per cercare di integrare la fede con la vita, perché il fine della catechesi è l’iniziazione, introdurre il bambino o il ragazzo a incontrare il Signore nella celebrazione sacramentale.

Occorre cogliere, secondo il Sinodo, il linguaggio che Dio ci sta rivolgendo, lasciarci interpellare da Dio e così dall’uomo contemporaneo.

I linguaggi devono nascere da noi, dopo aver colto l’essenziale.

I catechisti devono acquisire anche competenze psicologiche, quelle pedagogiche, le competenze sociologiche e quelle antropologiche per comprendere ad esempio gli adolescenti e la realtà in continuo mutamento; siamo diventati, infatti, una terra di missione, dove è ancora più difficile trasmettere la fede.

In una società postcristiana occorre, dunque, recuperare il significato delle parole: siamo chiamati a conoscerne l’essenza per mediarla, senza banalizzare.

Dobbiamo dire poco, ma dire l’essenziale, i punti centrali, i due grandi misteri della fede: il primo “Gesù incarnato, morto e risorto, asceso al cielo che ci dona il suo Spirito” e il secondo la “Santissima Trinità” che Dio è uno ma in tre persone Padre, Figlio e Spirito Santo, una realtà divina che deve diventare uno stile di vita.

È riscoprire che esiste una relazione nuova tra noi e tra i fratelli e questo vuol dire che la Chiesa è fatta da figli di Dio, generati da Lui e fratelli in Cristo, in un legame di fraternità di cui le nostre comunità dovrebbero essere il primo esempio.

Non basta dunque la parola, ma occorre far vedere il nostro essere cristiani, sperimentando che Dio è Padre e noi siamo fratelli. Essere uniti, vivere da fratelli ci permette di evangelizzare, di dire la Trinità, come ci ha insegnato Gesù prima di morire sulla Croce, chiedendoci di essere “una cosa sola” (cfr. Gv 17,21).

Questo Spirito è il linguaggio più grande, è quello dei segni.

Il vero amore è l’accettazione di ciò che è stato, c’è e sarà, ma per capire il linguaggio dell’altro è importante sentirsi amati da Dio, guardare gli altri con gli occhi di Dio per amare il prossimo per quello che è: allora si troverà naturalmente il linguaggio per dire a tutti l’amore di Dio. elsa feira

Redazione Web