Beati i poveri. Guai a voi ricchi

(Maria Beatrice Vallero)

Spesso confondiamo la felicità con il perfetto appagamento dei nostri bisogni fisici e psicologici. La soddisfazione di noi stessi nella vita lavorativa, relazionale e culturale, o più semplicemente la gratificazione dei bisogni del corpo, costituiscono il livello più terreno della felicità.

Lungi dall’essere aspetti negativi, rappresentano infatti un aiuto per affrontare la vita, ma non sono lo scopo della vita. Il fine della nostra vita è la felicità, quella vera. Gesù lo dice chiaramente in questa pagina di Vangelo: beati voi poveri, voi che ora avete fame, voi che ora piangete… quando vi insulteranno. Gesù stila una lista che sembra tutto meno che il programma della felicità. Non c’è nessuna soddisfazione nell’essere poveri, affamati, afflitti e insultati, eppure si può essere felici.

Un’espressione latina parlava di “arbor felix”, ossia “albero felice”, per indicare una pianta capace di produrre frutti, cioè capace di fare ciò per cui si trova in questo mondo. Allo stesso modo, tu sei felice quando permetti a te stesso di essere ciò per cui sei a questo mondo: amare e lasciarti amare da Dio, qualunque sia la condizione in cui ti trovi.

Diceva Sant’Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi”. Se poi avrai successo, rallegrati, e prendilo come un incoraggiamento per proseguire nel bene. Se fallirai, non preoccuparti, perché Dio è capace di trasformare i fallimenti in vittorie. I frutti sono di Dio. A te solo il compito di amarlo.

Felice te, che hai dato tutto il tuo bene senza ricevere nulla in cambio, perché riponi il tuo tesoro in Dio. Felice te, che sai rinunciare almeno un po’ al cibo di questo mondo, perché il tuo nutrimento è Dio. Felice te, che oggi piangi non per capriccio, ma per amore, perché la tua consolazione è Dio. Felice te, che sei un fallito agli occhi del mondo, perché il tuo successo è Dio. E da te si sprigionerà una forza che ha il potere di vedere l’infinito dove altri non vedono. Vedrai la luce nelle tenebre e la libertà nella prigionia: perché là dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore.

“Siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita e mi sento libera. Lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra” (Etty Hillesum).

(Lc 6,17.20-26) In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.