È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto

(Elisa Moro)

“Così è il regno di Dio” (Mc 4,26).

Il Signore Gesù, nell’XI domenica del tempo per annum, annuncia il Regno “con molte parabole” (v. 33), soffermandosi in particolare sull’immagine del “seme”, di una realtà minuscola e nuova, che silenziosamente germoglia e trasforma ciò che circonda, fino a diventare il “più grande di tutti gli alberi, dove trovano riposo gli uccelli del cielo” (Agostino, Disc. 44, 2).
La pagina del Vangelo di Marco (Mc. 4, 26-34) può portare a due riflessioni estremamente attuali.

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?” (v. 30). Ovvero: come parlare di Dio oggi? Come portare il messaggio del Regno di Dio, per usare le parole attuali di San Paolo VI, “ad un mondo come il nostro, gonfio e straripante delle sue positive, gigantesche, stupende e talvolta orribili realtà?” (25/10/1972). Il cristiano di ogni epoca è chiamato a questa sfida, consapevole che si può parlare del Regno, e quindi di Dio, perché Egli stesso, nell’Incarnazione, si è comunicato agli uomini, nella semplicità di un incontro reale, non in una dottrina scientifica e astratta, infatti “non una formula ci salverà, ma una Persona e la certezza che ci infonde” (Novo millennio ineunte, 29). Coscienti, però, che l’annuncio che ne deriva, la “nuova evangelizzazione” non segue le dinamiche del “successo immediato, dei grandi numeri; questo non è il metodo di Dio”, che predilige il minuscolo e umile seme di senapa, “lasciando a Lui la maturazione” (Convegno Catechisti Roma, 2000).

“Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco” (v. 28). Il Regno, la sovranità di Dio sulla vita di ogni credente, è un dinamismo in costante crescita, che richiede costanza e pazienza, ma che, al contempo, è autonomo e superiore all’agire stesso dell’uomo. È Dio che fa sviluppare il Regno, come ricorda anche San Paolo: “io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere” (1Cor 3, 6); l’uomo è chiamato ad avere totale fiducia, ad affidarsi interamente, diventando “suo umile collaboratore” e senza mai invertire questi ruoli.

Ogni cristiano è quindi chiamato alla consapevolezza che il risultato finale dipende da Dio; questo però non deve generare una deresponsabilizzazione nella missionarietà, quanto piuttosto, come scriveva Sant’Ignazio di Loyola, vivere “come se tutto dipendesse da noi, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio” (Ribadeneira, “Vita di Ignazio”).

(Mc 4,26-34) In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più
piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.