Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto

(Matteo Temperino)

Procedendo nel nostro cammino quaresimale, dopo esserci lasciati la scorsa domenica con la Prova del Deserto, questa nuova pagina di Luca ce ne propone una ben più ardua. L’evento infatti a cui assistiamo è la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, ossia la diretta rivelazione agli apostoli della sua natura divina.

Questa volta non è il deserto a comunicarci la presenza di Dio, bensì il monte in cui la divinità nascosta al di sotto di sembianze e vesti umane, si manifesta a noi sensibilmente, in modo che possiamo esperire realmente, attraverso vista e udito, la sua essenza. Capiamo dunque come questa settimana siamo chiamati ad armarci nuovamente del silenzio e della preghiera per incontrare Dio, questa volta ricercando nella natura umana di Cristo, quella divina che pur, trascendendo l’uomo, ci appare repentinamente con somma chiarezza.

La sfida rimane certamente quella di comprendere come l’episodio a cui assistiamo, possa essere considerato, di fatto, come realtà e non sogno. Gli apostoli sono in principio “oppressi dal sonno”, ma in seguito, tale sonno viene rotto dalla visione della gloria di Cristo; vediamo dunque come tale fuoriuscita dal sonno possa rappresentare metaforicamente sia una condizione interiore, “la nascita di una nuova consapevolezza”, sia una condizione esteriore, “la chiamata alla conversione”, che reciprocamente si costituiscono come una causa dell’altra. Possiamo infatti comprendere che Dio si manifesta a noi solamente convertendoci, o come ci intima Paolo, lasciandoci a nostra volta “trasfigurare” in modo da “conformarci” al corpo glorioso di Cristo, ma allo stesso tempo ci convertiamo perché anche noi compiamo il nostro “esodo”, una volta essere venuti a conoscenza della “buona novella”, ascoltando la voce di Dio.

In ogni caso la conseguenza è quella di uscirne sgomenti, tanto da non accontentarci di “toccare” la divinità, anche se non a tutti i costi, ci balena nella mente la volontà di poterla “afferrare”, “farla nostra”; è noto infatti come Pietro intervenga a sproposito, senza però accorgersi che non v’è affatto bisogno di quella “prova solenne”, per potersi accostare a Dio, ma che Dio era già presente nell’uomo, in Cristo, Verbo incarnato, prima d’essere trasfigurato.

Dinanzi dunque a tale prova spirituale, che ci mette a confronto non più con il nostro “Io”, ma con il mondo a noi circostante, non posso far altro che augurarvi una buona settimana!

(Lc 9,28-36) In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.