(Filippo Ciantia)

Mia moglie Luciana ed io siamo andati al cinema, da soli, due volte!

Ero appena rientrato dall’Uganda. Alla fine di gennaio Luciana con i bambini era stata evacuata per la pericolosità dei combattimenti dopo la presa del potere di Yoweri Museveni. In quei tre mesi di isolamento ho assistito alle malvagità, ma anche agli atti di coraggio che avvengono durante i conflitti. Avevamo dato cristiana sepoltura ai corpi abbandonati del nemico sconfitto e preso cura in ospedale dei feriti, combattenti e civili.

Con Luciana, in quel lontano 1986, vedemmo Mission, il capolavoro di Joffé con la colonna sonora di Morricone. Ricordo di essere rimasto scosso: narrazione e argomenti erano molto simili a quelli vissuti direttamente. La memoria andava a don Alfonso che di notte, alla luce della luna piena, abbandonava con tutti i suoi fedeli la parrocchia di Palabek: i guerriglieri sarebbero venuti a distruggere tutto, comprese le persone. Rivedevo la fila di povera gente che, all’alba, arrivava a Kitgum, dopo una notte di fatica e paura.

Pochi giorni fa, siamo andati a vedere il film Ennio di Giuseppe Tornatore. Un altro capolavoro con le stupende musiche di Morricone. Trascinati nel vortice di bellezza e commozione, non abbiamo potuto dire una parola, accarezzati dalle melodie e dalle parole sincere e umanissime del maestro sulle sue passioni, debolezze e sull’amore per la sposa Maria, che rappresentava sempre il primo applauso per le sue opere.

Trasportato dalle musiche, ho rivisto l’ultima scena di Mission, quando padre Gabriel, brandendo Cristo Eucaristico, affronta gli invasori insieme al popolo inerme. Poi ho visto i volti dei bambini ucraini nelle metropolitane e al seguito delle mamme al confine e al gelo dei campi profughi. Come per i bambini guaranì che nell’ultima inquadratura di Mission risalgono il fiume Iguazù dopo il massacro, a questi bambini è data la responsabilità di costruire una vita nuova.

Ján Patočka portavoce di Charta 77, il più importante documento del dissenso in Cecoslovacchia, poco prima di morire scrisse: “Ci sono cose per cui vale la pena soffrire”. Certamente per la libertà e la verità. I dissidenti non ebbero successo, anzi. Furono repressi e pochi firmarono il manifesto.

Dodici anni dopo, con la Rivoluzione di Velluto questi stessi dissidenti guidarono il popolo nella ricostruzione. Oggi in Slovacchia sono accolti gli ucraini in fuga.