(Elisa Moro)

Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo

“Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù” (Ef. 2, 6): il progetto salvifico di Dio, iniziato con l’Incarnazione, è ora, nella Festa dell’Ascensione, a quaranta giorni dalla Pasqua, portato a pieno compimento. Cristo, morto e risorto, ora trionfa in cielo, “ascende tra le acclamazioni” (Sal. 46, 6) ma, come canta il Prefazio odierno, “non si è separato dalla nostra condizione”, elevando alla dignità divina la carne umana e lo sguardo al cielo (Lc. 24, 46-53).

“Di questo voi siete testimoni” (v. 48): prima di essere portato in cielo, Gesù invia gli apostoli, a “Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At. 1, 8); li manda come testimoni – martys, da cui deriva il termine martire – e annunciatori della vera Buona Novella che non tramonta, capaci “di proclamare con le parole, e soprattutto con la vita, che il Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini e di tutti i popoli” (Canopi, Di questi fatti siamo testimoni, 12).

In quel “voi” di Gesù è racchiuso l’invito a essere testimoni, proprio di ogni battezzato: “Ogni laico – ricorda un testo del Concilio – deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo” (Lumen Gentium 38), aprendo l’orizzonte ad una piena universalità, quella capace di riunire i popoli nell’unità dell’amore.

“Poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (v. 52). Da dove deriva questa gioia, ora che il Signore non è più fisicamente con loro? Occorre distinguere: Gesù non è partito per sempre, non ha abbandonato gli Apostoli, ma è scomparso dalla loro vista di carne; Egli è presente in un modo nuovo, diverso, ma profondo e reale, nella trama della storia umana, facendosi prossimo e guida nel cammino verso il cielo, indicandone la via da percorrere. La vera gioia nasce allora dalla profonda consapevolezza che “oggi viene proclamata anche l’immortalità della carne… E siamo così penetrati con Cristo nelle altezze del cielo” (De Ascensione Domini, San Leone Magno, 73).

L’uomo può allora alzare lo sguardo verso il cielo, sapendo che ora è accessibile e che le sue porte sono aperte. Non l’astrattezza o un vuoto sguardo malinconico connotano l’Ascensione, ma la gioiosa consapevolezza che, usando una celebre frase di Romano Guardini, “Dio salva, e lo fa attraverso persone”, attraverso cioè la carne umana ora portata in cielo da Cristo.

(Lc 24,46-53)
In quel tempo, Gesù
disse ai suoi discepoli:
«Così sta scritto: il Cristo patirà
e risorgerà dai morti il terzo giorno,
e nel suo nome saranno predicati
a tutti i popoli la conversione
e il perdono dei peccati,
cominciando da Gerusalemme.
Di questo voi siete testimoni.
Ed ecco, io mando su di voi
colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània
e, alzate le mani, li benedisse.
Mentre li benediceva, si staccò da loro
e veniva portato su, in cielo.
Ed essi si prostrarono davanti a lui;
poi tornarono a Gerusalemme
con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.