(Filippo Ciantia)

Nel testo teatrale “I dialoghi su Paolo VI”, cinque personaggi conversano su dialogo, verità, missione e bellezza.

Papa Montini era ben consapevole del dramma di un mondo in tumulto, dopo le due guerre mondiali, con una Chiesa a corrente alternata: in ritardo e confusa, oppure capace di intuizione felici e profetiche come con l’enciclica di Papa Giovanni sulla Pace. Papa Montini traccia il programma del suo pontificato dedicando al dialogo l’intero terzo capitolo della lettera enciclica Ecclesiam Suam: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio”.

Questa profetica preoccupazione fa comprendere la gratitudine espressa da Montini – allora Pro-segretario di Stato – in una lettera del 21 ottobre 1946 al nobile Guido Cagnola per la donazione alla Santa Sede della stupenda villa di Gazzada, nei pressi di Varese, residenza estiva della famiglia milanese. “… così bella residenza è ormai destinata … a visioni e contemplazioni anche più alte … con il provvido incomparabile scopo di elevare la cultura ecclesiastica Italiana e gettare un ponte tra essa e quella del nostro secolo, così ricca, così nuova ed inquieta e sovente così cieca sui supremi destini della nostra vita”.

La vita del conte Guido Cagnola è ben descritta dalle grandi preoccupazioni di Paolo VI durante il Concilio e il suo pontificato. Infatti, nato nel 1861, anno della unificazione d’Italia, il nobile milanese ne visse i grandi travagli politici, seguendo le orme del padre senatore, diventando anche parlamentare. Visse grandi amicizie, soprattutto legate alla ricerca della verità, della giustizia e della bellezza. Servì il suo territorio come sindaco stimato e fu giusto con i fattori delle sue ampie proprietà.

Amò la bellezza dell’arte italiana, condividendo questa passione con il grande critico americano Bernard Berenson. Viaggiò molto, in Europa, nei Paesi del Mediterraneo, in Asia. Attratto dal buddismo e dal modernismo di Fogazzaro, Scotti e Bonaiuti, visse un lungo cammino di ritorno al cattolicesimo maturo, grazie a don Luigi Bietti, cui confidò poco prima di morire: “Sono rientrato nel grembo della Chiesa romana, per preparà i me valis… e ades podi andà”.

Era pronto a salire in cielo con il bagaglio di una vita intensa e donata in bene e bellezza.