(Editoriale)

Bisognerà cambiare l’espressione “lungo come la Quaresima” perché non più appropriata, all’indomani della conferma che questo isolamento forzato andrà oltre la Settimana Santa e persino oltre la Pasqua. Il pic-nic di Pasquetta ce lo scordiamo, così come saltano gli affari che i commercianti speravano legittimamente di mettere a segno con le prossime festività. Sarà pure una Settimana Santa dove tutto avrà l’aria di essere più da Venerdì di Passione che da Domenica di Resurrezione.

Sarà strano seguire i riti della Settimana Santa su un computer, sui social, su Youtube. Se questi nuovi mezzi della comunicazione non ci fossero, oggi sarebbe peggio, perché offrono un servizio prezioso di cui, qualcuno, finora non se n’era neppure accorto.

Nell’ambito dell’informazione sono rimaste aperte le redazioni dei giornali, venduti nelle edicole – che oggi ringraziamo a pagina 9 – rimaste anche loro aperte. Di questo mondo variegato dell’informazione e della comunicazione si è accorto – non da oggi, per la verità – Papa Francesco che nella sua Messa mattutina di ieri ha messo un’intenzione particolare di preghiera. È così raro sentire un grazie, e ancor più sentire che qualcuno prega per te in un momento in cui è più difficile del solito fare il proprio mestiere di giornalista.

“Oggi vorrei che pregassimo per tutti coloro che lavorano nei media, che lavorano per comunicare, oggi, perché la gente non si trovi tanto isolata; per l’educazione dei bambini, per l’informazione, per aiutare a sopportare questo tempo di chiusura”.

Le parole di Papa Francesco non sono un pensiero di vicinanza estemporanea, ma un invito a farsi prossimi a chi, in questo tempo di prova, ha la responsabilità del comunicare. C’è un riconoscimento implicito della funzione sociale dei mass media, chiamati ad essere compagni di viaggio, rispettando le regole etiche e deontologiche.

Con una richiesta implicita: non servono tante parole, ma quelle giuste.