Il permanente e radicale scontro destra-sinistra e la crescente preoccupazione per l’astensionismo stanno determinando forti tensioni nell’area riformista del Pd, che chiede una svolta verso il centro, con una nuova attenzione verso le componenti moderate della società (nel sindacato, ad esempio, rapporti anche con la Cisl, non solo la Cgil).

La critica più dura alla linea Schlein è giunta dal braccio destro di Romano Prodi, l’ex ministro Arturo Parisi, ideatore delle “primarie” nella stagione dell’Ulivo. Secondo Parisi oggi i dem seguono la strada del “Fronte popolare”, destinata ad essere sconfitta, come avvenne ai tempi dell’alleanza Nenni-Togliatti. Il modello da seguire rilancia il “fedelissimo” prodiano – è l’alleanza vittoriosa dell’Ulivo: centro e sinistra, riformisti e radicali.

Posizione analoga è stata sostenuta nel convegno di Milano della minoranza dem, con gli ex ministri Delrio e Guerini, gli eurodeputati Gori e Picierno: contestata l’intesa a tutti i costi con gli ex grillini di Conte e l’assenza di un vero dibattito politico interno al PD. Questi interventi critici hanno indotto le correnti di maggioranza del partito (con gli ex ministri Franceschini, Speranza, Provenzano) ad una iniziativa pubblica nei prossimi giorni, con l’obiettivo di rettificare il percorso politico e programmatico dem, con maggior spazio per l’area centrale.

Per un nuovo ruolo dei riformisti si muove anche l’ex premier Matteo Renzi, ma il suo nuovo progetto (“Casa riformista”) stenta a decollare per le riserve dei Radicali e dei Socialisti. Carlo Calenda ha invece definitivamente abbandonato il “campo largo”, stipulando con l’onorevole Luigi Marattin (ex renziano) un patto per una lista autonoma di centro, fuori dai due Poli. Si attende infine il documento programmatico del professor Ernesto Ruffini (“Più Uno”), nato col dichiarato intento di promuovere una sintesi politica tra le indicazioni del cattolicesimo democratico e quelle dell’area socialista-post-comunista. Nel complesso molto movimento nell’area moderata, segno di insofferenza per l’attuale bipolarismo Meloni-Schlein.

Al centro-sinistra manca sinora un leader, un punto di riferimento per la pubblica opinione, soprattutto quella più lontana dal richiamo delle urne, volta ad un crescente astensionismo, nonostante la gravità dei temi aperti, in primis la pace.

Anche nel destra-centro è emersa apertamente la differenza tra radicali e moderati in occasione della visita a Roma del premier ungherese Orban, difensore di Putin, e contro l’Ucraina e l’Unione europea (di cui l’Ungheria fa parte).

Nettamente critico verso il leader “sovranista” si è dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, presidente di Forza Italia, europeista, sostenitore del governo di Ursula von der Leyen e di Kiev. All’opposto l’altro vice-premier nonché leader della Lega Matteo Salvini, “nazionalista”, filo-russo e anti-Bruxelles come Orban.

A metà strada si colloca la Meloni: ha difeso il sostegno all’Ucraina aggredita da Mosca, ma sull’Europa ha concordato con Budapest sul tema decisivo del diritto di veto delle singole nazioni, a suo giudizio da mantenere.

Esattamente il contrario di quello auspicato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dall’ex premier Mario Draghi per evitare la paralisi delle istituzioni di Bruxelles, con una modifica dei trattati per giungere al voto a maggioranza. La sintonia Meloni-Orban rilancia il nazionalismo contro l’europeismo, favorendo la linea Trump di puntare sulla divisione del Vecchio Continente, rendendolo più debole nelle sfide geo-politiche mondiali.

Da un lato (Salvini) si attribuiscono a Bruxelles tutti i mali dell’Italia, dall’altra (veto Meloni-Orban) si mette il freno a Ursula von der Leyen. In concreto sul tema delicatissimo della politica estera ci sono nella maggioranza due tesi opposte tra Forza Italia (PPE) e Conservatori di Fratelli d’Italia e Lega.

Nei due Poli le diversità interne crescono di giorno in giorno, rendendo ardua la scelta della pubblica opinione, che rifugge sempre di più dalla delega in bianco. Per questo il dibattito interno alle forze politiche diviene più importante in vista delle politiche 2027. Non sono la stessa cosa il nazionalismo di Orban e l’Europeismo di Mattarella, il conflitto sociale permanente di Landini o il modello di partecipazione della Cisl. Ed anche sul fine-vita la sentenza della Consulta non coincide con la piattaforma dei Radicali per l’eutanasia.