(Mario Berardi)

Nella storia repubblicana il Governo Draghi è il terzo ad esprimere l’unità nazionale delle forze politiche, dopo il De Gasperi della ricostruzione post-bellica e l’Andreotti del compromesso storico contro il terrorismo. L’appello di Mattarella è stato accolto da quasi tutti i partiti, fatta eccezione per Fratelli d’Italia della Meloni e le minoranze dei Grillini e di Sinistra Italiana; ma la novità si accompagna al permanere di vecchie abitudini, come lo scontro tra il ministro Speranza (Leu) e la Lega sulla chiusura delle piste da sci.

Quanto durerà la mediazione Draghi in un parlamento molto diviso? Secondo alcuni osservatori sino all’elezione del nuovo Capo dello Stato (febbraio 2022), secondo altri sino alla scadenza della legislatura, tra due anni. Per la cronaca il primo Governo De Gasperi resse un biennio, mentre l’accordo DC-PCI per Andreotti durò pochi mesi, travolto dall’assassinio di Aldo Moro ad opera delle BR.

Anzitutto Draghi, accolto molto bene dai leader europei e occidentali e dai mercati (con un forte calo dello spread), deve varare entro aprile il Recovery-plan per ottenere i 209 miliardi della UE. Gli obiettivi sono la svolta ambientale, la transizione digitale, le riforme del fisco, della giustizia civile, della pubblica amministrazione: intanto incombe la trattativa tra Confindustria e Sindacati per evitare lo sblocco dei licenziamenti, entro marzo; urgenti anche le misure per la scuola.

Nell’immediato il nodo più difficile riguarda la lotta alla pandemia, perché nell’esecutivo convivono due anime, rigorista e aperturista, mentre rimane difficile il rapporto dello Stato con le Regioni, a cominciare dal piano delle vaccinazioni. Il premier, accanto alle grandi strategie per il futuro, dovrà dedicarsi alle questioni di ogni giorno, evitando il ripetersi degli scontri tra i ministri; importante anche l’equilibrio tra gli scienziati, per evitare di scoraggiare la pubblica opinione con la divulgazione di tesi radicalmente opposte. Il Comitato tecnico-scientifico va rafforzato, anche in autorevolezza, evitando la babele delle lingue.

Nel Governo Draghi ha colpito la predominanza di ministri del Nord: 18 su 23, di cui ben 13 del Lombardo-Veneto (uno solo, con incarico senza portafoglio, del Piemonte), mentre nel Governo Conte la situazione era rovesciata. Questa novità testimonia la priorità assegnata al rilancio produttivo, ma segnala anche il rischio che i finanziamenti UE possano accrescere il divario fra le due Italie, anche se il premier ha confermato il ministero per il Sud e ha garantito ai Grillini il permanere del Reddito di cittadinanza, come strumento di solidarietà.

Peraltro anche in campo editoriale si è rafforzato il Nord: accanto al Gruppo RCS-Corriere della Sera e alla berlusconiana Mediaset, si è registrato il passaggio dalla Capitale all’area italo-francese degli Agnelli dell’editoriale Gedi.

Le due coalizioni politiche sono state entrambe lacerate dal nuovo processo politico. Nel centro-destra pesa l’opposizione della Meloni, che punta a strappare consensi radicali a Salvini. Nel centro-sinistra è esploso platealmente lo scontro nei Grillini tra governisti e movimentisti: il fondatore si è speso in prima persona per il sì a Draghi, coadiuvato dall’ex premier Conte che si è espresso a favore del suo successore, pur rilanciando l’obiettivo politico della coalizione Pd-M5S-Leu.

Problemi pure nel Pd per l’assenza della componente femminile nel governo, mentre in Forza Italia c’è insoddisfazione per la scelta di tre ministri dell’ala moderata e anti-sovranista.

A parte Draghi (il cui successo è indiscutibile), nelle forze politiche non ci sono grandi novità rispetto ai sondaggi della pubblica opinione, con la Lega al 23%, il Pd al 20, Grillini e la Meloni tra il 15 e il 16, Berlusconi tra il 7 e l’8%.

Prevale l’attesa per il “fare” del nuovo esecutivo, perché le emergenze indicate da Mattarella sono sempre davanti al Paese: sanità, economia, solidarietà.

È così rilevante l’impegno per rinascere, ricostruire, ripartire, che da diversi settori emerge la richiesta di un rinvio delle elezioni amministrative dall’estate all’autunno, e non solo per evitare assembramenti nella pandemia; servirebbe anche ad evitare nuovi scontri tra le forze politiche impegnate nel Governo, puntando a una coalizione modello De Gasperi e non l’effimero Andreotti. Il Covid non aiuta le urne.