“Ora e sempre Resistenza”: con queste storiche parole di Duccio Galimberti, martire della lotta di Liberazione del Cuneese dall’occupazione nazi-fascista, il presidente della Repubblica ha chiuso la spiacevole querelle sul 25 Aprile innescato dalle improvvide e nostalgiche dichiarazioni del presidente del Senato, La Russa; in precedenza il fondatore di AN, Gianfranco Fini, aveva chiesto alla Meloni di fare un passo avanti: “Non capisco la ritrosia di Giorgia, riconosca l’antifascismo”.

La premier, con una lettera al “Corriere della Sera”, aveva risposto che “da molti anni i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo”, sottolineando che “il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana”.

Sergio Mattarella, diversamente dalla Meloni, non ha esitato nel richiamare l’antifascismo come “anima” della Costituzione repubblicana: “Noi siamo figli della Resistenza”. E a Cuneo, Boves, Borgo San Dalmazzo ha ricordato la vasta partecipazione popolare alla lotta contro la tirannide e il sangue versato.

La premier continua a reggere un difficile equilibrio tra la linea dell’identità (FdI ha le radici nel MSI di Giorgio Almirante) e quella della fedeltà alle istituzioni repubblicane: La Russa, che ha contestato la strage delle Fosse Ardeatine e che ha negato la presenza dell’antifascismo nella Costituzione, non viene radicalmente smentito; nel contempo la Meloni sale all’Altare della Patria con il Capo dello Stato, affermando piena sintonia.

Dopo sei mesi di governo per la coalizione di maggioranza è tuttavia giunta l’ora di scelte precise, altrimenti si rischia… la palude, ovvero l’incertezza politica. Questo vale per l’economia come per l’immigrazione: le promesse si moltiplicano mentre le risorse sono limitate. I 3,5 miliardi di investimento previsti per quest’anno non possono coprire tutto: le pensioni, la flat tax, il ponte sullo Stretto, il rimborso al Sud per il ddl Calderoli sull’autonomia regionale… Resta poi aperta la gestione dei fondi europei (Pnrr), con ogni ministro con tesi diverse (la Lega e Crosetto per rinunciare ad alcuni finanziamenti, per Fitto utilizzare tutte le risorse con tempi più lunghi); ma la snervante trattativa con Bruxelles, come l’insoluto nodo europeo delle misure per l’immigrazione, rende nervosi i mercati finanziari: già alcune agenzie di rating hanno proposto di spostare l’attenzione degli investitori dai titoli pubblici italiani a quelli spagnoli.

L’opposizione parlamentare, intanto, continua a essere divisa, fatta eccezione per la comune difesa dell’antifascismo e della Costituzione repubblicana. Il leader del M5S, Conte, ha respinto, almeno per ora, a proposta di un patto con il Pd; nelle prossime elezioni comunali i due partiti saranno uniti in un Comune su tre, una minoranza; soprattutto i pentastellati hanno aderito a un referendum contro le armi a Kiev che li allontana ancor più dai Dem e dal Terzo Polo su un tema strategico come la politica estera.Al Centro, dopo la guerra fratricida tra Renzi e Calenda e nuovi sondaggi devastanti (secondo il “Corriere” il Terzo Polo sarebbe al 5%), sta emergendo un tentativo di ricomposizione: non più partito unico, ma Federazione di diverse realtà, dai liberali ai radicali passando per la frangia popolare ex dem (in particolare l’ex capogruppo al Senato, Marcucci, molto vicino a Renzi).

Resta il nodo della leadership e la composizione di un programma omogeneo, sia sul piano economico-sociale sia sul terreno dei diritti, viste le tesi dei radicali. Il “campo largo” del centro-sinistra resta quindi un sogno, come ai tempi di Enrico Letta: la nuova segretaria del Pd, che ha riportato il partito al 20%, dovrebbe interrogarsi sulla strategia per le alleanze, non lasciando che le fratture si allarghino; allo stesso modo dovrebbe rispondere alle richieste della componente popolare (Bazoli, Silvia Costa, Lepri) che in direzione hanno posto la delicata questione del disagio politico-programmatico dell’area culturale di estrazione cattolico-democratica.

Il bipolarismo “zoppo” all’italiana (il centro-destra unito nelle urne e diviso sui programmi, il centro-sinistra in ordine sparso) non può essere la soluzione sino al 2027 perché si rischia una crescente conflittualità a scapito della soluzione delle numerose emergenze aperte nella società.