I Centri di aiuto alla vita, fondati nel 1975, hanno aiutato a far nascere oltre 280 mila bambini, 56 mila l’anno. Tra il 1978 e il 2022 in Italia ci sono stati quasi 6 milioni di aborti – una media di 134 mila l’anno -, con una progressiva diminuzione dovuta non a ripensamenti, ma al calo della popolazione femminile in età fertile. Per la prima volta le pratiche farmacologiche diventano prevalenti per la “facilitazione” della procedura.

Da 47 anni la prima domenica di febbraio, il 2 nel 2025, si celebra la “Giornata nazionale per la vita” – quest’anno dedicata al tema “Trasmettere la vita, speranza per il mondo” – indetta dalla Cei, che nel suo messaggio invita a un’alleanza che rilanci il valore della maternità e della paternità, che favorisca “l’impegno legislativo degli Stati per rimuovere le cause della denatalità con politiche familiari efficaci e stabili nel tempo”.

I vescovi italiani chiedono “quale futuro c’è per una società in cui nascono sempre meno bambini?”; e ancora: “il riconoscimento del diritto all’aborto è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?”. Le statistiche dicono che sono le donne lavoratrici, single, immigrate a fare maggior ricorso all’interruzione di gravidanza. È forse una scelta veramente libera, o una decisione drammatica dettata da condizioni economiche sfavorevoli? Se la trasmissione della vita è segno di speranza nel futuro, verrebbe da dire che di speranza ce n’è poca, ed è per questo che i vescovi gridano all’urgenza di rianimarla e “promuovere la cultura e la trasmissione della vita, senza la quale nessuna forma di organizzazione sociale o comunitaria può avere un domani”.

Con la cultura, anche il valore della genitorialità tra i giovani, negli sposi, nei credenti perché siano veicoli convinti nel (far) riconoscere che “l’apertura alla vita è il progetto che il Creatore ha inscritto negli uomini e nelle donne”. Da una parte il calo del desiderio di essere madre e padre, dall’altra chi, impossibilitato a essere genitore, cerca di diventarlo con tecniche che vanno oltre ogni valutazione morale. Laddove non c’è possibilità di procreazione è ampiamente aperta la porta nel prendersi cura degli altri, e soprattutto dei più piccoli rifiutati, orfani, dimenticati, vittime, respingendo la “cultura dello scarto” di cui tanto parla Papa Francesco.