(Cristina Terribili)

La cronaca ci ha rendicontato, in pochi giorni, di gesti feroci compiuti da bambini di pochi anni d’età.

Alcune di queste azioni hanno sorpreso soprattutto per la determinazione e la cattiveria che recavano con sé e inspiegabili, agli occhi della maggior parte degli adulti, abituati a considerare l’infanzia come l’età spensierata e piena di giochi e di risa. Eppure le basi del comportamento antisociale prendono vita nell’età evolutiva e uno degli elementi discriminanti è la mancanza del senso di colpa. È conoscenza abbastanza comune che il mondo delle emozioni abbia due livelli di riferimento: quello delle emozioni di base (che si sviluppano sin dai primi giorni di vita) e sono la tristezza, la paura, la rabbia, la gioia, il disgusto; e quello delle emozioni cosiddette “sociali”, cioè la vergogna, la colpa, la gelosia e l’orgoglio, che si manifestano intorno ai 24 mesi, epoca in cui il bambino riesce a distinguere la sua persona dagli altri e dunque comincia a riconoscere le conseguenze del proprio comportamento sugli altri.

Anche l’empatia è una predisposizione a base biologica – per dirla con le parole del suo maggiore studioso, Rizzolati – e anche questa componente ha bisogno di essere modulata e rimodulata attraverso il rapporto precoce con chi si prende cura del neonato. Consapevoli della plasticità del cervello e che questo nostro organo, pur avendo in sé tutte le predisposizioni possibili, ha bisogno di accrescere, potenziare ma anche regolare le proprie strutture, i propri meccanismi, sappiamo che ogni fragilità, così come ogni talento, hanno bisogno di stimoli appropriati che vengono dall’ambiente.

L’essere “animale sociale” dell’uomo fa sì che la componente genetica sia in stretta relazione con l’ambiente circostante. Lo stesso ambiente, poi, possiamo suddividerlo nel contesto sociale e nel contesto familiare perché, seppure esterni alla persona, hanno entrambi una forte influenza. La interdipendenza e la reciproca forza di questi fattori non consente attribuzioni singole ad un fattore sull’altro. Così le basi biologiche fragili, quelle che potrebbero predisporre un soggetto verso il sicuro sviluppo di comportamenti antisociali, aggressivi, connotati da insensibilità e incapacità di riconoscere il dolore e i sentimenti dell’altro, possono essere sostenute da un ambiente esterno che invece favorisce la regolazione, che consente la modulazione verso comportamenti non solo socialmente più adeguati, ma che permettono lo sviluppo di un “sentire” proprio e degli altri.

Affiancare dei novelli genitori, per favorire la maggiore efficacia delle cure parentali; sostenere gli educatori, dal nido in poi, per consentire anche agli insegnanti di avere un ruolo attivo nell’avvio di un terreno favorevole ad accrescere quelle competenze emotive e sociali che possono sostenere il bambino nella sua crescita neurologica, psicologica ed emotiva, permetterà di far ritrovare ai piccoli, anche a quelli meno forti biologicamente, quell’infanzia che è fatta di sperimentazioni, di gioco e di scoperte che riguarda il proprio essere e il modo in cui ci si relaziona con l’altro.

Ogni forma di violenza o di bullismo ha un meccanismo di avvio. Deve essere anticipato e spento prima che facciano del male a qualcuno.