Com’è strana la vita che ti offre le più svariate opportunità per chi le sa cogliere.
La scorsa settimana è morto un uomo straordinario, il fisico Stephen Hawking. La sua straordinarietà non risiede solo nelle scoperte fatte, ma per come ha portato avanti la sua vita malgrado una disabilità che lo ha accompagnato per quasi mezzo secolo. Il bel film che racconta di lui, “La teoria del tutto”, mette in luce come un evento devastante, la comunicazione di una malattia neurodegenerativa che non lasciava scampo e che, al momento in cui fu diagnosticata, prevedeva un’aspettativa di vita di due anni, può avere un esito inaspettato.
Chi gli era accanto – quella che poi è diventata la prima moglie, i suoi amici, il suo professore – non hanno lasciato che la malattia prendesse il sopravvento sull’uomo e sulla sua mente. Anche quando il fisico di Hawking non era più in grado di rispondere, anche quando ha perduto l’uso della parola, lo hanno sostenuto, incoraggiato, hanno riorganizzato la sua vita ed i suoi spazi per permettergli sempre la migliore espressione possibile.
Non è stato facile. Forse in più occasioni qualcuno ha pensato di non farcela, di gettare la spugna, ma nessuno ha permesso a questo pensiero di essere l’unica scelta possibile. Anche quando la coppia si è separata lo ha fatto per darsi un’opportunità di vita in più. Anche quella fu una scelta molto coraggiosa. Hawking sapeva che l’interesse nei suoi confronti e parte del suo successo, con un pubblico molto ampio, era dato dalla differenza tra le incapacità del suo corpo e le potenzialità della sua mente; così come sapeva che ogni giorno, superati quei due anni di vita che gli erano stati pronosticati, era un “bonus” che non ha sprecato. Ha aperto anche la cerimonia delle paralimpiadi di Londra dove ha esortato il pubblico a lasciare che i Giochi Paralimpici possano trasformare la nostra percezione del mondo perché “per quanto la vita possa sembrare difficile, c’è sempre qualcosa che potete fare e qualcosa in cui potete eccellere”.
Le paralimpiadi invernali in Corea si sono appena concluse e cinque medaglie sono state portate a casa. I nostri ragazzi hanno trovato la forza ed il coraggio di osare oltre le barriere, accompagnati da chi crede in loro, li affianca e gli permette di raggiungere risultati straordinari. Ai mondiali di calcio in Messico partecipano le “Stampelle azzurre”, la nazionale di calcio degli amputati, forti anche loro che corrono e non si disperano!
Dal 13 al 18 maggio, a Roma, si svolgeranno i mondiali di calcio a cinque, per pazienti psichiatrici. La storia della squadra italiana che vi parteciperà, la potete leggere nel libro “Crazy for football” o vedere nel documentario che l’anno scorso ha vinto il David di Donatello. Anche in questo caso, il coraggio di uno psichiatra, la fantasia di un regista e l’entusiasmo di chi ha voluto mettere la propria faccia per raccogliere i fondi che hanno portato questi atleti al mondiale in Giappone hanno permesso la realizzazione di un riscatto. E loro, i calciatori, con caparbietà e con fiducia sono andati oltre le barriere della malattia, hanno superato gli ostacoli della mente per andare a segnare un goal che ha significati inimmaginabili. Possiamo partecipare anche solo andando a vedere la partita, ad applaudire o a cantare l’inno d’Italia con loro. Partiamo?

Cristina Terribili
psicologa, psicoterapeuta