(Editoriale)

Nel parlare comune succede di non andare troppo per il sottile sull’esattissimo significato delle parole, sul quale talvolta influisce anche l’interpretazione personale.

I negozi hanno alzato le serrande: qualcuno la chiama riapertura, altri ripartenza. Riapertura sta per “ripresa di una attività” e ripartenza per “nuova partenza”.

Sembra scontato! Ma non lo è. Riaprire i negozi non vuol dire ripartire, perché la ripartenza deve essere legata al successo della riapertura, cioè fare affari, vendere e guadagnare. La riapertura dei negozi c’è stata, l’afflusso dei clienti no! Non è necessario avere la lente d’ingrandimento per accorgersene, basta gironzolare qua e là.

C’è chi ha scritto che i commercianti contano sul turismo. Che a sua volta però conta su eventi che facciano da traino – ma attualmente congelati -. Bisogna anche sperare che la gente abbia in tasca quattro denari da spendere e lo voglia fare perché crede nel futuro.

Per tre mesi ci hanno appiattito l’encefalogramma con una mastodontica campagna mediatica d’informazione e di disinformazione sul coronavirus, al punto tale che abbiamo creduto che non ne saremmo mai usciti vivi.

Adesso è partita la Fase 2 di una campagna mediatica – probabilmente altrettanto colossale – sulla crisi economica, la cui parte peggiore non è ora, ma nell’autunno catastrofico per le famiglie, le imprese e anche i Comuni.

L’erba del vicino sembra sempre più verde, ma è vero che gli italiani hanno una grande capacità di farsi del male da soli, fornendo di sé e del Paese un’immagine la più distruttiva possibile. Così ci guardano male da fuori, ma ci guardiamo male anche noi stessi e la fiducia nel futuro è pari a zero.

Tirarsi su le maniche una volta si chiamava buona volontà e intraprendenza, oggi si chiama resilienza: comunque si chiami, per scattare ha bisogno di una flebo di sano, ragionevole e motivato ottimismo che la politica – tutta – non sa dare.