Gerusalemme è uno schiaffo, ma di quelli che svegliano. Ti scuote da dentro, ti costringe a guardarti intorno e dire: “Aspetta un attimo, ma allora è possibile?”. Cammini per le strade, nei bazar, tra i banchi di frutta e spezie, e ti accorgi che Dio è dappertutto. Non come discorso astratto, ma dentro la vita: nei gesti, negli occhi, nei saluti della gente. Mi ha colpito tutto questo più delle liturgie solenni, più delle omelie. È stato il vivere la città a mostrarmi che qui la fede non è un evento sporadico, è la base, il tessuto portante, l’identità più piena.
E allora ho capito davvero cos’è la secolarizzazione: non è solo “meno Messe e meno preti”, è l’assenza di Dio dalla vita di tutti i giorni, è una negativa straordinarietà che diventa confortante alienazione. Un’assenza talmente radicata che, anche per chi crede, riscoprirne la presenza piena – quella vera – finisce per stupire.
Qui invece Dio è straordinariamente normale. Nessuno si vergogna di nominarlo, nessuno lo mette tra parentesi. Le differenze religiose non si ignorano, ma si abitano. E nonostante tutto, convivono. Sono arrivato il giorno dopo la morte di Papa Francesco. E ammetto che, per un attimo, ho pensato di tornare a Roma. Ma venire qui è stata una vera grazia.
Nel nostro confortevole mondo occidentale, Dio è spesso ridotto a una funzione d’emergenza. Tipo l’estintore nei corridoi: c’è, ma speri di non doverlo usare. Qui, invece, Dio è il pavimento su cui cammini. Se manca Lui, manca tutto.
In questi giorni, il Patriarca Pizzaballa è tornato sotto i riflettori, parlando lucidamente così come nell’intervista che gli feci dopo che fu creato cardinale da Papa Francesco. La gente si è accorta che, se un’intervista è onesta, solida, rispettosa ma libera, diventa uno spazio di comprensione. Non bastano i reel da trenta secondi, né le due frasi al volo dette davanti ai microfoni. La gente ha bisogno di pensare.
E il giornalismo dovrebbe servire a questo: non a urlare per primi, ma ad aiutare gli altri a pensare meglio. A far fermentare le idee. Questo serve a discernere, a capire cosa è bene per noi.
Se fatto con fede e competenza, anche il giornalismo diventa apostolico: umilmente porta nel mondo perso, con i cuori gentilmente anestetizzati, una brezza di Verità, una direzione, una luce. Perché aiutare a pensare è già un modo di amare, e se l’uomo pensa capisce che cancellare Dio non è un’opzione. E su questo qualche frutto sta già arrivando.
(Foto tratta da Pixabay)