(Susanna Porrino)

Mi colpisce l’indifferenza e la noncuranza con cui si sta cercando di cancellare ogni traccia di ciò che è avvenuto in questi mesi; pare che l’unico desiderio, nel riprendere una vita il più possibile simile a quella che conoscevamo prima dell’epidemia, sia quello di disperdere la sensazione che qualcosa possa essere effettivamente andato “storto”.

Certamente esistono mondi, come quello dell’economia, le cui leggi e dinamiche implicavano una ripresa immediata e senza esitazioni. Tuttavia, se gli stessi meccanismi di incessante movimento e rigenerazione vengono applicati anche alla dimensione umana, l’individuo viene ridotto a semplice macchinario la cui vita procede secondo un ritmo frenetico e senza alcuna relazione tra presente e passato.

Siamo una società che non è più capace di cambiare perché rifiuta di analizzare se stessa. Ogni cosa che accade viene assorbita e dispersa nel vortice degli eventi passati, senza che si lasci aperta una via per una qualunque forma di rielaborazione collettiva: tutto ciò che intacca l’ordine stabilito diventa una parentesi apertasi inavvertitamente e chiusa il più velocemente possibile.

È innegabile che ci sia da rallegrarsi se la situazione volge in meglio e se è possibile riprendere uno stile di vita sano e piacevole, ma se questo significa entrare in uno stato di finta inconsapevolezza e oblio generale, allora forse c’è da domandarsi se non stiamo sbagliando qualcosa.

Penso che gli ultimi cento anni siano stati un continuo susseguirsi, almeno per quanto riguarda la storia italiana, di eventi drammatici di cui si è cercato di cancellare ogni indizio e ogni via di riscoperta, in un disperato tentativo di procedere senza domandarsi cosa avesse potuto rimanere cristallizzato nel silenzio.

Studiando la storia dell’Italia dal secondo dopoguerra ai primi anni ’80, ho avuto modo di scoprire come la stragrande maggioranza della mia generazione (e non mi escludo da questo gruppo) avesse una conoscenza scarsissima se non completamente assente delle ferite che hanno attraversato la nostra storia in un passato estremamente vicino in termini di tempo, ma di cui è difficilissimo sentir parlare.

Tralasciando di parlare della storia umana dalla preistoria al Medioevo (che gli studenti conoscono quasi a memoria), è diventato più che normale ascoltare testimonianze dirette e indirette della Seconda Guerra Mondiale: ma tutto quanto accaduto negli anni immediatamente a seguire sembra essere stato irreversibilmente risucchiato in un buco nero, che lascia intatta solamente un’immagine vaga e confusa di una realtà disorientante.

Abbiamo creato una realtà in cui non c’è tempo per aspettare né per aspettarsi, e questo si riflette in ogni aspetto della nostra vita.

Tuttavia, avremmo forse bisogno di imparare a ricercare un senso e una riflessione anche nei momenti di disagio e imperfezione che attraversiamo, e a lasciare che ci spingano verso il cambiamento: fuggire dal nostro passato non può che aumentarne il potere, ma scegliere di accoglierlo e di non ignorarlo può permetterci di imparare a muoverci nel nostro presente senza paure e senza rimanere rallentati da esso.