Entro in un piccolo bar pasticceria di Ivrea che, per origine dei proprietari, si rifà alle tradizioni del caffè e dei dolci napoletani. Sul bancone, verso il fondo troneggia una lavagnetta intitolata “caffè sospesi”, su cui sono segnati quattro o cinque nomi… Roberta, Chiara, Lea, Francesca, Anna (ma ci sono stati nomi anche di uomini, mi spiegheranno poi)… Non so bene di cosa si tratti. In attesa del caffè provo a indovinare; forse clienti che se ne sono andati senza pagare e per questo messi alla gogna? No, impossibile tanta durezza per un solo euro di caffè. Clienti che hanno ordinato e se ne sono andati senza consumare? Non sono convinto e immagino rapidamente le situazioni di chi potrebbe aver pagato e non consumato e di chi potrebbe non aver pagato ma neppure consumato. Non mi resta che chiedere, e dopo aver chiesto, percorrere il famoso google per saperne di più trovando, magicamente, che c’è tutta una letteratura sul “caffè sospeso”. Voi lo sapevate? Come sono piccoli i nostri orizzonti.

È un’idea tutta italiana, anzi napoletana, che pare stia affascinando molti, anche all’estero, dove qualcuno si è avventurato a provarla. Definiamola un’abitudine filantropica e solidale; aggiungerei che è semplice, carina, simpatica, che non risolve i problemi di nessuno ma tocca il cuore. Che di questi tempi è già una grande cosa. A Torino, Milano, Roma pare abbia attecchito, qui poco. Insomma, prendi un caffè per te e ne paghi uno per una persona sconosciuta che non può permetterselo.

Non stupitevi troppo, ma c’è chi deve razionalizzare il magro budget per arrivare a fine mese e a certe cose, deve per forza rinunciare. L’idea che reggeva questo gesto carino del “caffè sospeso” era quella di far sapere che se sei felice per qualcosa lo condividi facendo felice un’altra persona – sconosciuta –, perché il bello sta anche in questo, offrendole un caffè.
Troppo facile offrire il caffè all’amico, al collega, all’ospite. Luciano De Crescenzo ha scritto un libro, intitolato appunto “Il caffè sospeso” dove si legge che “Quando qualcuno è felice a Napoli, paga due caffè: uno per sé stesso, ed un altro per qualcuno altro. È come offrire un caffè al resto del mondo”.

Troppo semplice per valere qualcosa? Proprio no!
Purtroppo chi è abituato a grandi gesti di solidarietà è tentato di rifugiarsi dietro all’inutilità di una piccola azione del genere e lo stesso fa e dice chi non è avvezzo a pensare agli altri; l’approccio è diverso ma il risultato non cambia.

Troppo semplice per essere fattibile? E qui nascono le altre possibili perplessità a cui l’individualismo e la paura per i piccoli gesti per gli altri ci hanno abituati: quanti saranno quelli che se ne approfitteranno? E come fa il barista a capire chi veramente merita quel caffè pagato? Con quale criterio deciderà se concederglielo oppure no? Farà lo scontrino o si intascherà l’euro senza dare il caffè? Bravo, lui, che con la storia della solidarietà raddoppia il fatturato. E altre cose simili.

Perché ormai è in questi termini che ragioniamo; paradossalmente dal basso del “caffè sospeso” fino più su, agli uomini sul barcone per 15 giorni. Già me li vedo i perplessi della situazione intenti a rispondere a tutte quelle domande da equilibrismo – benché legittime da un certo punto di vista – ma entrate a far parte della paura e della diffidenza con cui si affrontano le idee nuove, i rapporti con gli altri, ciò che non è conosciuto, che richiede l’impegno di un denaro… anche se poco.

Il “caffè sospeso” – chissà che un giorno salti fuori qualcuno che “sospende” qualcos’altro sull’onda lunga di questa tradizione, all’orizzonte si affaccia già la “colazione sospesa” e il “pranzo sospeso” – laddove non è conosciuto, praticato, pubblicizzato, è tanto piccolo come gesto quanto grande è l’incertezza che genera. Provoca. Interroga. Chi lo direbbe per un caffè da 1 euro soltanto?
Ebbene sì. È il richiamo alle piccole cose, ai gesti semplici (ricordiamo che “il caffè sospeso” è nato durante la seconda guerra mondiale proprio per accontentare ad occhi chiusi e cuore aperto il desiderio di qualcun altro), ai sentimenti positivi, alla compassione e alla comprensione, all’amicizia platonica.

Siccome stiamo chiudendoci a riccio e i grandi gesti si fanno rari, ricominciamo a prendere confidenza con il mondo che ci circonda e le persone che crediamo di conoscere ma in realtà non conosciamo, attraverso i piccoli gesti. In giro ce ne sono parecchi, oltre al “caffè sospeso”. Questione di orizzonti.